Cerco di avere con la storia un rapporto terapeutico, per così dire. In italiano il verbo comprendere, nella sua origine, significa includere. Per capire bisogna riuscire ad abbracciare anche punti di vista diversi. Per trovare un senso e una logica in questo mondo così complicato, la storia aiuta. Può sdrammatizzare, ricordandoci che altre epoche sembrarono altrettanto caotiche, assurde, indecifrabili. Vennero interpretate in modi che oggi abbiamo dovuto ribaltare. A questo lavoro di rilettura del passato io affido una speranza: rimettendo in discussione stereotipi, luoghi comuni, semplificazioni e pregiudizi, forse ritroveremo il filo di un dialogo civile con chi non la pensa come noi.”
(Opinioni del 17/11/2018 di Federico Rampini)
Per realizzare l’inclusione e una serena convivenza bisogna saper praticare il dialogo.
“Il dialogo è una modalità privilegiata e indispensabile per vivere, esprimere e maturare l’amore … Ma richiede un lungo e impegnativo tirocinio. Uomini e donne, adulti e giovani, hanno modi diversi di comunicare, usano linguaggi differenti, si muovono con altri codici. Il modo di fare domande, la modalità delle risposte, il tono utilizzato, il momento e molti altri fattori possono condizionare la comunicazione. Inoltre, è sempre necessario sviluppare alcuni atteggiamenti che sono espressione di amore e rendono possibile il dialogo autentico.”
“Sviluppare l’abitudine di dare importanza reale all’altro. Si tratta di dare valore alla sua persona, di riconoscere che ha il diritto di esistere, a pensar in maniera autonoma e ad essere felice. Non bisogna mai sottovalutare quello che può dire o reclamare, benché sia necessario esprimere il proprio punto di vista. E’ qui sottesa la convinzione secondo la quale tutti hanno un contributo da offrire, perché hanno un’altra esperienza della vita, perché hanno maturato altre preoccupazioni e hanno altre abilità e intuizioni. E’ possibile riconoscere la verità dell’altro, l’importanza delle sue più profonde preoccupazioni e il sottofondo di quello che dice, anche dietro parole aggressive. Per tale ragione bisogna cercare di mettersi nei suoi panni e di interpretare la profondità del suo cuore, individuare quello che lo appassiona e prendere quella passione come punto di partenza per approfondire il dialogo.”
“Ampiezza mentale, per non rinchiudersi con ossessione su poche idee, e flessibilità per poter modificare o completare le proprie opinioni. E’ possibile che dal mio pensiero e dal pensiero dell’altro possa emergere una nuova sintesi che arricchisca entrambi.”
“C’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali.”
“Infine, riconosciamo che affinché il dialogo sia proficuo bisogna avere qualcosa da dire, e ciò richiede una ricchezza interiore che si alimenta nella lettura, nella riflessione personale, nella preghiera e nell’apertura alla società.”
(da Amoris Laetitia di Papa Francesco)
Incluṡiónes. f. [dal lat.inclusio-onis]. –L’atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto. (Treccani)
Da qui possiamo cominciare a pensare come creare inclusione a Nonantola.
Perchè non tutte le persone si sentono parte di un tutto, di una comunità o meglio vanno a formare delle altre micro comunità ai margini delle altre?
Le ragioni sono tante, e oggi forse la prima è l’indifferenza degli uomini.
Per togliere almeno in parte questo atteggiamento, bisogna creare cultura e diffondere sapere, conoscenza. Togliere la paura dalle strade e dai cuori.
Occorre proporre dei percorsi di formazione non solo per gli addetti dei servizi sociali, assistenti sociali, educatori, psicologi…ma anche per chi opera nel volontariato. Percorsi comuni ed innovativi, capaci di creare una base di lavoro comune.
Penso a programmi in cui ci sia una parte di teoria, per poter conoscere e dare risposte certe e veloci. Ma anche momenti di pratica, che rendano più veloci il creare rapporto con le persone, che facciano entrare più velocemente in sintonia , che creino fiducia reciproca.
Ci sono tecniche specifiche per questo, così come ci sono tecniche che si possono usare affinché una persona entri in contatto con i suoi bisogni più profondi, prenda consapevolezza di quali sono i propri limiti e le proprie potenzialità e sia in grado di vedere più chiaramente gli obiettivi ai quali lavorare (tecniche di programmazione neurolinguistica).
Occorre fare prevenzione, agire prima che l’esclusione faccia il suo ingresso nella vita.
Per creare legami, bisogna lavorare insieme, concretamente.
“e non c’è altro, a parte l’amore, che unisca gli esseri come l’avere in comune un progetto o un’attesa” (Elvio Fassone, Fine pena: ora!)
Nel nostro paese sono tanti i progetti che potremmo sviluppare insieme e che potrebbero coinvolgere varie fasce di età, e persone con storie diverse.
Da quelli artistici/culturali (esiste già la rassegna del film festival), di teatro, legati alla storia di Nonantola.
Progetti più concreti, magari legati al lavoro o al volontariato.
L’altro binario da sviluppare è il vero e proprio lavoro sociale, quello delle istituzioni.
Per quanto possibile, occorre snellire procedure e burocrazia, a favore dei rapporti con le persone che si rivolgono ai servizi.
Spesso ci si nasconde dietro la burocrazia perchè è una sorta di scudo che protegge dall’impotenza o dal timore di non poter osare.
In ambito sociale occorre lavorare con la fantasia, proporre percorsi creativi e non standardizzati.
Per quanto possibile i progetti vanno fatti insieme a chi chiede aiuto, cercando di rispettare la personalità dell’altro e di partire dalle potenzialità, non come spesso accade dai limiti e dai bisogni.
Bisogna proporre a tutti la bellezza, sapendo che alcuni sceglieranno di vivere nel brutto.
Altresì bisogna avere la consapevolezza che non tutti, forse tanti, saranno inseribili in questi percorsi privilegiati. Allora si punterà a obiettivi minori ma sempre con la persona e le sue risorse, per quanto piccole, al centro.
Gli operatori sociali, devono creare legami stretti e di fiducia con il territorio e con che vi opera. Devono lavorare in rete, non porsi in condizione di superiorità ma sentendosi parte di quella rete che alla fine, loro, tireranno in barca.
Dovranno essere registi e attori.
Gli assistenti sociali dovrebbero essere messi in grado di uscire dagli uffici, e di lavorare fuori, a contatto con l’ambiente e le persone.
Per questo occorre avere un linguaggio, una modalità e obiettivi comuni.
Creare, per questo, momenti di incontro e di scambio di informazione e di strategie.
Per arrivare all’inclusione bisogna lavorare in concertazione, suonare insieme per comporre una melodia in cui tutti, compresi gli spettatori, sono parte essenziale.
Premessa
Nel manifesto della Lista abbiamo indicato l’obiettivo di affermare una comunità aperta, accogliente, solidale, che riconosca e valorizzi le diversità, che cresca nell’attenzione ai bisogni materiali e spirituali di ogni essere umano; per arricchire le pratiche di contrasto alla povertà, all’isolamento, all’esclusione, rimettendo al centro, con intelligenza e sensibilità, il ruolo del Servizio Sociale Territoriale, e la professionalità dei suoi operatori, attraverso il potenziamento, quantitativo e qualitativo delle attività, la sperimentazione di collaborazioni nuove tra amministrazione pubblica e società civile, lo sviluppo del “lavoro di comunità”; per praticare modalità di partecipazione al confronto, all’approfondimento, alla ricerca che consentano l’acquisizione dei punti di vista di tutti coloro che vogliono contribuire ad arricchire la capacità politica e progettuale della comunità di Nonantola.
Nel lavoro di gruppo è emersa la chiara consapevolezza della necessità di rinnovare il metodo e pratiche e del lavoro sociale: occorre focalizzarsi sui bisogni materiali e sociali/spirituali delle persone e superare l’eccessiva separazione tra operatori dei servizi, attori del territorio e destinatari, la frammentazione degli interventi sulle situazioni di bisogno, l’iperburocratizzazione degli strumenti e del modo di operare del pubblico e del privato sociale, la trasformazione del rapporto tra il servizio pubblico e gli attori del territorio in prestazione di servizi anziché lavoro congiunto di comunità. Questa necessità è bene espressa nelle linee guida per il riordino del Servizio sociale territoriale approvate dalla Regione Emilia Romagna, che vanno tradotte in pratica.
Il Servizio sociale territoriale
Oggi più che mai, sembra emergere più chiara la convinzione della necessità di un cambiamento della filosofia dell’intervento sociale.
Sono, in particolare i principi come auto-aiuto, sostegno alla salute, prevenzione, empowerment, e lavoro di rete che rappresentano il fondamento teorico, sulla base del quale l’idea di stato come unico soggetto abilitato alla produzione di servizi sociali, appare sempre più contraddittoria e superata.
Partendo dal presupposto che i rapporti rappresentano il mondo vitale originale e indissolubile di ogni individuo, molti studiosi considerano la pratica del servizio sociale come un attività il cui scopo ultimo è quello di mobilitare nuovi automatismi di solidarietà nella comunità in cui il disagio si manifesta, a chi si trova in stato di bisogno quel soccorso che il servizio pubblico non sembra, da solo, in grado di fornire.
Il punto cruciale del lavoro di rete è che l’operatore sviluppi quella che viene denominata “una nuova cultura dell’aiutare”, attraverso la quale egli può porsi nei confronti di situazioni di disagio, non più come case-worker, ossia come lavoratore che esegue un’azione diretta e prolungata sull’utente, ma come case-manager, cioè coordinatore della pluralità di risorse, formali e informali, necessarie per la risposta ai bisogni dell’utente.
Occorre cercare le condizioni che permettano l’interazione e la comprensione tra le prospettive e i punti di vista degli attori coinvolti nell’intervento. Una parte di queste condizioni è legata all’atteggiamento che l’operatore deve avere nei confronti delle informali: non più centrato sull’esecuzione di ordini, ma sulla maturazione di autonome capacità di coordinamento e attivazione dei reticoli naturali.
Nella realtà questa modalità non è facile né da costruire né da trovare, perchè l’operatore lavora in ambiti regolati da norme burocratiche e gerarchie amministrative.
Per fondare la pratica del lavoro di rete, il processo comunicativo deve assolvere a tre requisiti centrali: l’autenticità, la funzionalità e la flessibilità.
Autenticità: è necessario che la comunicazione sia veicolo di informazioni ma anche di significati; deve quindi esserci confronto, ascolto e rispetto.
Funzionalità: i contenuti della comunicazione devono trasformarsi in prassi.
Flessibilità: richiede che la comunicazione possa continuamente incorporare input che provengono dall’esperienza individuale. L’elemento più decisivo per rendere la comunicazione più flessibile è la moltiplicazione dei punti di vista e di idee.
L’assistente sociale deve diventare un animatore di rete cioè deve essere inserito in una logica di intervento animativo di rete.
Caratteristiche principali di questa figura, sono la capacità di destreggiarsi tra i vari stili dell’animatore socio culturale e le capacità dell’operatore di rete, l’apertura, la disponibilità e il decentramento.
L’animatore di rete deve essere un profondo conoscitore della “macchina pubblica” e dell’universo associativo.
Egli dovrà lavorare con tutta la comunità, dovrà stabile alleanze stabili, dovrà accentuare il carattere di risorsa più che di mancanza.
Occorre lavorare in un equipe multidisciplinare, dove siano definiti ruoli e responsabilità, incarichi e compiti, in un clima solidale e coerente.
Gli strumenti dell’animatore di rete:
- quelli derivanti dallo studio delle dinamiche comunitarie e della comunicazione umana;
- l’analisi delle esperienze quotidiane;
- l’uso della narrazione per dire il senso profondo della vita;
- la programmazione animativo reticolare.
L’animatore di rete è colui che riesce a creare una relazione con le reti esistenti nel territorio, che gli permette di orientare i processi di mutuo-auto aiuto che si sviluppano all’interno.
La ricerca è lo strumento più potente che l’animatore di rete e ogni utente hanno a disposizione per monitorare, mappare e rilevare le situazioni di disagio, crisi o i segnali d’allarme o i germogli di speranza, gli scambi solidaristici.
Occorre fare una mappatura-ricerca, applicando un metodo rigoroso.
Altro strumento è la programmazione animativo-reticolare: l’intervento sociale non deve cioè avvenire in modo episodico o causale. Occorre verificare continuamente i propri obiettivi, confrontarsi con la situazione. Bisogna elaborare itinerari, non fare progetti, cioè delineare un percorso di trasformazione e crescita che compie il soggetto, in seguito ad un intervento di rete.
Un itinerario si distingue da un progetto per il fatto che gli obiettivi non sono indicati come finali: esprime il progetto in termini di progressività, specificato in contenuti, esperienza e tempi.
Le caratteristiche della nuova figura professionale possono essere adottate da chiunque avendo premura di:
- curare i rapporti intrapersonali e intraprofessionali;
- prestare attenzione ai momenti informativi, perchè i gruppi e persone con cui si lavora, siano facilitati nel prendere coscienza delle situazioni;
- sollecitare le persone perchè imparino a decidere in proprio, a partecipare attivamente alla soluzione dei propri problemi; inoltre:
- dovrà avere senso critico verso i suoi punti di vista;
- dovrà avere senso politico, per mediare i passaggi di cambiamento della società.
Per tentare di superare l’attuale clima di incertezza, l’animatore di rete dovrebbe cercare di creare aree di entusiasmo, spazi di libertà, luoghi di senso e di amicizia, valorizzare le potenzialità dei gruppi e delle associazioni, coltivare il senso ed il gusto per la libertà.
La rete – il lavoro di comunità
Siamo ad un cambio di paradigma: non pensare e gestire i servizi sociali con un approccio di tipi assistenziale.
È necessario operare per aiutare ad uscire dalla emergenza, dalle difficoltà, nei tempi e nelle modalità possibili, per costruire progetti di vita.
Per questo crediamo indispensabile:
- individuare un luogo permanente, promosso e guidato dai servizi sociali e culturali comunali, di ricerca e azione, in cui si ritrovino gli attori per scambiare informazioni e conoscenza, pensare, concretizzare e seguire assieme i progetti collettivi e di sostegno alle persone e alle famiglie;
- avviare, in questo luogo, uno sforzo di lavoro trasversale e straordinario che affronti i temi che ci sembrano più urgenti e difficili: l’accesso alla casa, il lavoro, il rafforzamento di progetti di mutuo sostegno e vicinato di sostegno tra e per le famiglie e i singoli;
- avviare un percorso di formazione congiunto per operatori dei servizi sociali e culturali, operatori delle associazioni, e persone interessate per costruire un metodo condiviso, avviare il lavoro di comunità, sburocratizzare gli interventi e le prese in carico, superando l’eccessiva settorializzazione e riduzione delle persone in categorie (povertà, dipendenza, migranti, adolescenza, ecc).
Tavolo di concertazione
Serve un luogo, un ambito ove tutte le conoscenze, le esperienze, i risultati delle attività, le disponibilità e gli obiettivi vengano condivisi. Come riassunto sopra i servizi sociali dovranno svolgere le proprie funzioni e prerogative istituzionali promuovendo ed orientando l’iniziativa, organizzandola sulla base dei diversi progetti di vita che si andranno ad approntare e a proporre.
Questo “tavolo di concertazione” dovrebbe diventare uno strumento permanente, di confronto, di monitoraggio e di verifica dell’efficacia delle azioni messe in campo, alle quali ogni entità coinvolta porterà il proprio specifico contributo.
Quindi, con queste modalità, il Servizio Sociale Territoriale potrà contare su una implementazione delle proprie possibilità operative e di gestione, arricchendosi dei contributi e della collaborazione di una rete di soggetti del volontariato propensi e disponibili a dare una mano.
E’ parimenti evidente la necessità di percorsi formativi per i volontari che si accingeranno a collaborare nei progetti individuati per ciascuna delle vicende da affrontare.
Azioni di vicinato e sostegno
Utili e proficue sono state le azioni di vicinato messe in campo da tanti volontari nell’accoglienza dei migranti richiedenti asilo di stanza a Nonantola. Le attività proposte sono state le più diverse, dai percorsi di conoscenza e di interazione, dalla condivisione del tempo libero, alla gestione delle proposte di attività di volontariato e delle opportunità di lavoro.
Questa esperienza si dovrebbe estendere a tutti i soggetti e per tutte le vicende personali e familiari che ci si trova ad affrontare, portando anche quel sostegno umano, non solo materiale, tanto necessario a reagire e a superare gli scalini più alti ed insidiosi che tante volte ci si trova davanti.
La conoscenza e la condivisione delle problematiche, le sensibilità e le disponibilità a comprendere e a supportare, daranno le condizioni per finalizzare efficacemente il lavoro di sostegno e di stimolo ad intraprendere quei progetti di vita necessari a superare le difficoltà.
Casa
Una delle questioni più rilevanti e difficili da affrontare è quella della disponibilità di una casa, un alloggio dignitoso per coloro che versano nelle maggiori difficoltà.
Diverse sono le problematiche da superare, innanzitutto per chi non ha o ha perso il lavoro, ma anche per chi il lavoro ce l’ha pur non trovandosi in grado di sostenere costi elevati di affitto.
In particolare, sovente, il potenziale conduttore, non è in grado di anticipare le mensilità richieste per cauzione o di pagare per intero l’affitto.
Due potrebbero essere le misure da adottare:
- la prima: fornire attraverso garanzie di firma o fideiussorie le coperture per le cauzioni richieste;
- la seconda: attivare e alimentare un fondo (Fondo Integrativo Accoglienza – FIA) per alleggerire integrando, sia parzialmente sia totalmente, almeno per il periodo di maggiore difficoltà, le quote di affitto pattuite. Questo fondo dovrebbe essere integrativo delle risorse messe a disposizione della pubblica amministrazione ed alimentato dai contributo della comunità (realtà economiche, associazioni, persone fisiche) con sottoscrizioni finalizzate a questi obiettivi.
Lavoro
Il nodo più complesso è quello del lavoro. C’è poca richiesta di lavoro di tipo generico, ci sono richieste di lavoro per esperienze e competenze specifiche.
Quindi il primo punto è di verificare le possibilità esistenti sul territorio e organizzare di concerto con le associazioni di categoria i corsi di formazione necessari a preparare le professionalità che servono.
A tal uopo si reputa altresì urgente dotarsi di uno strumento conoscitivo del mercato del lavoro, su scala locale, che possa mettere in relazione le richieste di lavoro con le disponibilità.
- I SERVIZI SOCIO SANITARI
Premessa: le risorse dei servizi socio-sanitari del comune sono adeguate al contesto del territorio?
Ci sono carenza di organico? L’amministrazione Comunale può fare qualcosa in merito?
Mi sembra che attualmente le risorse umane siano inadeguate per numero, e questo non mi pare un ottimo punto di partenza.
- I Servizi Socio Sanitari di una realtà territoriale devono avere come priorità la promozione della Salute della Comunità, così come inteso, ad esempio, dalla Dichiarazione di Alma Ata, che definiva la Salute come uno stato di benessere FISICO, PSICHICO E SOCIALE!
I Servizi ed i loro operatori devono quindi avere ben chiaro questo obbiettivo.
- Ribadisco quindi (in perfetta linea con i lavori del gruppo) la necessità di avere una strategia comune di coordinamento fra tutte le realtà che operano nel campo dei Servizi Sociali a Nonantola (Assistenti Sociali, OSS, Servizi del Distretto, volontariato e cittadinanza attiva); ed anche tra i pediatri ed i medici di medicina generale, punto di riferimento importante per la salute della cittadinanza.
- Questo permetterebbe di lavorare al meglio sia sul versante della promozione della salute in senso stretto (stili di vita, vaccinazioni, screening, prevenzione delle dipendenze e delle situazioni di disagio degli anziani, dei giovani e delle famiglie) sia sul versante degli interventi su situazioni già patologiche (devianza minorile, violenze domestiche, dipendenze da sostanze, ludopatie, disturbi del comportamento alimentare).
In definitiva, emerge forte la necessità di un “lavoro comune” di tutti gli attori dei Servizi Socio Sanitari, che devono essere coordinati in prima battuta dal Sindaco stesso (che, non scordiamolo, è la maggior Autorità sanitaria del Comune!) o, all’occorrenza, da una “concisa” e solidale cabina di regia, la cui composizione penso vada trattata in sede di riscrittura defintiva dei Programmi.
Le zone di maggiore fragilità sono quelle degli anziani, famiglie in difficoltà, giovani.
Anziani: in collaborazione col distretto socio sanitario ed i medici di famiglia, aumentare le ore di apertura e la ricettività del centro diurno, anche al sabato e la domenica se necessario; favorire la nascita di associazioni di famigliari di paz con disturbi cognitivi, avere una “mappa ” aggiornata degli anziani più fragili ed a rischio, avere un maggior numero di A.S. dedicate.
Famiglie: potenziare lo sportello per le famiglie del Sorbara, lavorare in maggior sintonia col volontariato (parrocchia, scout, ecc.), anche qui avere una “mappa” dettagliata ed aggiornata delle famiglie a maggior problematicità.
Giovani: rendersi conto che a Nonantola si spacciano e si consumano una notevole quantità di sostanze d’abuso!!
Migliorare l’offerta sportiva, senza badare a campanilismi (joint venture con Pieve e Pol.) con educatori/allenatori professionali e formati!
Migliorare “l’intercettazione” sul campo rendendo sempre più stretta la collaborazione con Libera, Scialla, Scout; eventuali progetti di musica da strada delle officine musicali (vedi Venezuela!!) officine teatrali e di insegnamento di mestieri manuali.
Medicina di Famiglia: necessità di istituire medicine di gruppo veramente efficienti, e quindi con maggior collaborazione con i servizi del territorio, maggior impatto sulla prevenzione e sulla promozione di stili di vita sani, minor invio ai PRONTO SOCCORSO.
4.2 DISABILITA’
Definizione
“Condizione di coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. Tale definizione si basa sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006), ratificata dall’Italia con la l. 18/2009. Diversi modelli di disabilità sono stati definiti nel passato.
Il modello medico, a lungo predominante, si concentra sulla menomazione dell’individuo, mentre quello sociale sottolinea le difficoltà legate all’ambiente (fisico e sociale) e derivanti da pregiudizi o restrizioni nelle opportunità scolastiche e lavorative.”
(Laura Pagani – Dizionario di Economia e Finanza, 2012)
Ciò che ci ha spinti a riflettere sul tema della disabilità è, appunto, la convinzione che il termine dis.abilità contiene in sé quello di abilità, risorse residue che vanno potenziate, valorizzate e rese libere da pregiudizi, sia di pensiero sia di ambiente.
Il nostro è un territorio storicamente attento all’inclusione, all’integrazione e alla valorizzazione delle persone in quanto tali e ancora una volta non può e non vuole non continuare a migliorare e favorire l’inserimento sociale delle persone disabili.
Obiettivi
Favorire percorsi di ”riconoscimento” precoce di bambini in situazione di disabilità o difficoltà.
Ci proponiamo di potenziare la formazione di educatori ed insegnanti, già ben preparati in materia, in modo da riuscire il più possibile a conoscere e riconoscere segnali di difficoltà nei bambini e nei ragazzi, certi che un intervento precoce e ben concertato tra tutte le parti coinvolte (famiglia, scuola, amministrazione) sia la strada migliore e più proficua per un vero inserimento sociale della persona disabile.
Favorire l’inserimento sociale di ragazzi ed adulti disabili nelle realtà sportive e di associazionismo presenti sul territorio, permettendo così un reale inserimento e integrazione.
Ci proponiamo di fungere da “ponte” tra le richieste delle famiglie di ragazzi disabili rispetto ciò che il territorio offre e le reali offerte del territorio (scout, gruppi, sport, corsi…), accompagnando famiglie e ragazzi.
Eliminazione delle barriere architettoniche per dare autonomia di movimento ed azione ad ogni persona.
Ci proponiamo di eliminare il più possibile ostacoli o barriere di natura materiale e architettonica che rendono le persone non autonome nei movimenti, negli spostamenti e nella gestione della loro vita quotidiana.
Ogni persona dovrebbe poter essere libera di fruire dei servizi e delle realtà del territorio, indipendentemente dalla propria condizione fisica o mentale.
Supportare le realtà associazionistiche del territorio che si occupano di persone in situazione di difficoltà.
4.3 ACCOGLIENZA
“Nell’epoca che stiamo vivendo, l’esilio è diventato la condizione naturale di milioni di esseri umani che scontano le colpe e gli errori che democrazie e dittature hanno commesso e commettono, scontrandosi e usandosi a vicenda. Le guerre, le occupazioni, le intolleranze, gli abusi, le violenze stanno rendendo la nostra terra inabitabile a intere popolazioni costrette alla fuga. Oggi la patria è dove trovi pace e rifugio, è ciò che rende possibile una convivenza civile. La patria è dove ti puoi fermare.
E’ in questa luce che l’idea di cittadinanza cambia aspetto e dal diritto di sangue si apre al diritto del suolo, è così che un paese ritrova se stesso riconoscendosi nel suo prossimo. Siamo tutti figli della confusione fra patria e esilio.
E’ una nuova idea di cittadinanza, che corrisponde al nostro tempo e alla storia comune, un’idea che ha fatto l’America e sta facendo l’Europa.
Il nuovo principio dice che un bambino che nasce e cresce in Italia, che parla italiano e studia italiano, è italiano. E’ il vivere insieme e parlare una stessa lingua che ci rende “concittadini”.
Se manteniamo un atteggiamento di paura e rifiuto, ci aspetta un mondo di ‘campi’, ufficialmente provvisori, in realtà perpetui, chiusi da muri che dividono uomini e donne per sempre estranei, e i nostri paesi saranno abitati da sconosciuti senza diritti, mortificati e scontenti.
Ma se accettiamo di guardarle in faccia, vedremo persone che rimodellano con noi una vita comune.
Perché il mondo è cambiato – e anche noi abbiamo contribuito a cambiarlo – e non abbiamo altre opzioni che incontrarci o farci la guerra, affratellarci o terrorizzare e essere terrorizzati.
Oggi si tratta di dare la cittadinanza a circa 800.000 bambini, per non ritrovarli ragazze e ragazzi senza alcun diritto. E si tratta di imparare dai bambini a giocare insieme.
Per questo chiediamo agli Italiani di essere saggi, generosi e lungimiranti e di sostenere la legge che concede la cittadinanza per Ius soli, diritto del suolo.”
(Dall’appello per una Legge per lo Ius Soli)
A Nonantola il Consiglio Comunale ha approvato una delibera che consente il conferimento della cittadinanza onoraria ai ragazzi stranieri che vivono e studiano in Italia.
E’ un atto politico significativo, ma riteniamo che vada ripresa la battaglia per un pieno riconoscimento della cittadinanza con una nuova legge per lo ius soli, che superi il criterio della sola discendenza biologica per considerare invece un criterio culturale, l’aver compiuto un ciclo di studi in Italia.
Immigrati e richiedenti asilo – Una comunità a confronto con le diversità
La cosiddetta “crisi dei rifugiati” non è certo la partita più complessa che l’Italia si trovi a gestire in questi anni. Non certo più complessa di quella del lavoro, per dirne una. Eppure è la questione che più di ogni altra ha determinato gli sconquassi elettorali dello scorso marzo; è la questione che sta rischiando di mandare in frantumi l’Europa; è la questione che rischia di assestare i colpi più pesanti alla fragile tenuta sociale dei nostri territori, soprattutto dei comuni di media e piccola grandezza.
Sia chiaro, non sottovalutiamo le difficoltà e i conflitti che nascono a entrare in relazione con chi parla una lingua diversa, mangia cibi diversi, ha abitudini, stili di vita, religione diversi. Ma che gli italiani si siano in gran parte convinti che questo sia diventato il loro problema principale – più della disoccupazione, del degrado delle condizioni di lavoro, dell’impoverimento, della difficoltà ad avere una casa, della chiusura o privatizzazione dei servizi per la prima infanzia, eccetera, eccetera – è difficile da comprendere. Evidentemente il modo in cui, tanto a destra quanto a sinistra, si è parlato, scritto, legiferato di immigrazione ha contribuito a consolidare un assunto che in questo momento è difficilissimo da smontare.
Forse, una delle cose più sensate da fare sarebbe parlarne il meno possibile. Smettere di portare il tema dell’immigrazione, dei “profughi”, dell’accoglienza al centro del dibattito culturale e politico. Anche per questo non vogliamo dedicare eccessivo spazio in queste pagine al problema della convivenza con chi viene da un altro paese, sebbene sia su questo terreno che molti dei firmatari di “Una mano per Nonantola” si sono conosciuti, si sono messi alla prova a partire da questioni molto concrete, hanno messo a fuoco un punto di vista comune sui problemi che interessano Nonantola.
Mettiamola così, le condizioni di vita degli immigrati hanno sì una centralità e una specificità nel nostro programma politico, ma principalmente per il fatto che permettono di vedere meglio e più chiaramente, come una sorta di lente di ingrandimento, problemi che in realtà riguardano tutti i nonantolani: la casa, il lavoro, l’accesso ai servizi, la qualità della scuola, il bisogno di radicamento.
La tradizione dell’incontro con il “diverso” a Nonantola è lunga e, sia chiaro, non sempre così idilliaca come una certa visione irenica e campanilistica lascia intendere. Certo, fin dai primi secoli della sua fondazione, il monastero benedettino di Nonantola accolse una grande quantità di uomini di provenienza diversa, come si intuisce dai nomi delle persone che vissero lì o che da lì passarono, nomi biblici, ma anche greci, longobardi, burgundi, franchi, provenienti presumibilmente da aree lombardo-venete, toscane, del meridione, galliche, occitaniche, pannoniche, del nord europea e persino orientali e africane. Inoltre la Charta dell’abate Gottescalco (1058) concesse l’attuale Tenimento della Partecipanza (oltre ai pieni diritti di libertà personale, cittadinanza e protezione contro abusi di funzionari) a tutti coloro che abitassero in Nonantola. Concessione che lascia intuire l’intenzione di attirare nuovi abitanti.
Per non parlare dell’accoglienza che alcuni nonantolani, in condizioni molto più difficili delle nostre, riservarono a una settantina di giovani e giovanissimi “profughi” ebrei, i ragazzi di Villa Emma, perseguitati dai regimi nazi-fascisti di mezza Europa.
Dal secondo dopoguerra, Nonantola è stata meta di immigrazione, prima interna, dal meridione, e poi, dalla fine degli anni ’90, esterna. Oggi Nonantola, su un totale di circa 16mila abitanti, ha una popolazione di origine straniera di circa 1700 persone (poco più del 10%). A questo dato sarebbe sempre utile affiancare quello del saldo naturale che dal 2017 risulta negativo: anche Nonantola, come in gran parte d’Italia il numero dei decessi supera quello delle nascite.
Nel frattempo tutto, nel mondo, ha subito un’enorme accelerazione. A partire dal 2011 i processi di disintegrazione sociale e statuale di regioni sempre più estese del pianeta hanno portato il numero degli sfollati nel mondo a quota 65milioni, molto di più di quanto ce ne fossero alla fine della Seconda guerra mondiale. È inevitabile che una cornice di questo tipo abbia conseguenze significative anche per l’Italia e per Nonantola. Oggi Nonantola, un territorio che non è mai stato meta stabile di profughi e rifugiati, ospita sul suo territorio una settantina di richiedenti asilo in attesa di sapere cosa lo stato italiano deciderà di fare della loro richiesta di protezione e integrazione.
Intorno al tema dell’accoglienza agli stranieri, si apre per l’Italia e per Nonantola una fase di grande imprevedibilità. Non abbiamo mai difeso l’attuale sistema dell’accoglienza, un sistema che ha visto portare al parossismo l’irrazionalità con cui l’Italia ha gestito l’immigrazione negli ultimi sette anni (non indichiamo un periodo a caso: ci riferiamo all’incendiarsi del Nord Africa con le cosiddette “primavere arabe” e all’incardinarsi delle politiche migratorie italiane intorno all’asilo politico come unico canale legale di ingresso nel nostro paese e alla cosiddetta “accoglienza” come unica via all’integrazione). La differenza è che noi speravamo che le mura del sistema italiano dell’accoglienza si aprissero sulla spinta del coinvolgimento dei territori e delle comunità nella relazione con i giovani immigrati, per la maturazione dei saperi e delle competenze accumulati dagli enti, pubblici e privati, che dal 2011 si occupano della gestione dei richiedenti asilo, per la capacità di tradurre in istanze politiche per tutti le contraddizioni e i conflitti generati tra chi scappa e chi accoglie.
E invece le mura non si stanno aprendo, ma stanno venendo giù. Non è una differenza di poco conto. Gli immigrati che, con o senza permesso, usciranno dall’accoglienza e quelli che arriveranno nei prossimi mesi entreranno in contatto con le comunità locali in un clima di crescente ostilità e incomprensione, e, temiamo, imbarbarimento delle relazioni. A Nonantola, per intenderci, dei circa settanta richiedenti asilo presenti la maggior parte diventerà nei prossimi mesi irregolare (ma questo sarebbe successo indipendentemente dall’arrivo di Salvini al Ministero dell’Interno). Qualcuno ovviamente se ne andrà, ma qualcun altro potrebbe arrivare, e rischiamo che anche a Nonantola vivranno diverse decine di persone che non avranno una residenza, che i servizi non conosceranno per nome, che non potranno stipulare contratti di lavoro o di affitto, che non avranno accesso ai servizi sanitari. Che vivranno ai margini e che saranno motivo di tensione sociale.
Che cosa ne sarà di loro e quali dinamiche si creeranno tra “noi e loro” è difficile prevederlo. Certo bisognerà gestire questa fase con molta competenza, oculatezza, senso di giustizia e piacere della sfida: già perché la capacità di ricomporre spinte e bisogni differenti in vista di un bene comune coincide con la natura stessa della politica. Le sue sfide maggiori, a volte vinte a volte perse clamorosamente, la democrazia occidentale le ha giocate proprio sul terreno delle migrazioni e dell’inurbamento (che era un’altra forma di immigrazione, dalle campagne alle città). Liquidare la questione con la demagogia del “tutti a casa loro”, ma anche con la retorica ambigua della filantropia e della vittimizzazione dello straniero rappresenta per noi l’esatto opposto della politica.
Di fronte a un quadro così complesso non abbiamo ricette risolutive. Abbiamo però alcune ferme convinzioni che, di fronte a singole questioni, cercheremo di tradurre in scelte politiche precise:
– una caratteristica preziosa dell’assetto amministrativo di Nonantola che intendiamo rinforzare (nonostante i venti avversi che battono l’Italia) è la gestione in proprio (e non appaltata all’esterno) di un Centro Intercultura che si occupi dei tanti aspetti del tema dell’integrazione e, soprattutto, il mantenimento del servizio sotto l’assessorato alla cultura e non sotto quello delle politiche sociali. Come a dire: i problemi e le opportunità determinate dall’incontro con “l’altro” non sono di per sé questioni di ordine sociale, ma prima di tutto di natura culturale;
– sarà perciò fondamentale, oltre che appassionante, promuovere occasioni di formazione e informazione sui paesi e le culture di provenienza degli immigrati. Per capire meglio il sommovimento che in questi anni interessa una vasta parte del mondo, le condizioni dei viaggi e dei paesi delle persone che lasciano la propria casa per venire a vivere a Nonantola, le norme che regolano l’arrivo e la loro permanenza in Italia, le dinamiche e i conflitti che si generano nell’incontro tra chi scappa e chi accoglie, la cultura, la religione, le abitudini delle persone di origine straniera.
A partire da percorsi con i bambini delle scuole di Nonantola – materne, primarie e secondaria – da corsi di formazione per i loro insegnanti, da incontri di interesse pubblico per i cittadini.
– è importante non separare la partita dell’accoglienza a richiedenti asilo (cosiddetti migranti forzati) da quella più generale dell’immigrazione (cosiddetti migranti economici) e quest’ultima dai nodi sociali e culturali che riguardano tutti. Ci sforzeremo di muoverci non dalla persona, o meglio da categorie astratte di persone (“migrante”, “richiedente asilo”, “rifugiato”, “minore straniero non accompagnato”, …), ma dai bisogni e diritti (lavoro, casa, accesso ai servizi …) per poi tornare alla persona e alla declinazione del bisogno rispetto alle sue specificità e delle sue esigenze;
– “integrazione” delle persone significa anche “integrazione” dei servizi, dei settori dell’amministrazione e dei pezzi di società. È fondamentale che, soprattutto di fronte ad alcune situazioni complesse, scuola, servizi sociali, edilizia residenziale pubblica, ecc. lavorino insieme e non per compatimenti stagni. Così com’è importante che operatori, tecnici e politici di un’amministrazione pubblica sappiano interagire e abbiano una prospettiva completa delle situazioni che devono affrontare per evitare l’ipertrofia della burocrazia da un lato, l’astrattezza politica dall’altro e l’inefficacia dei servizi dall’altro ancora;
– uno dei problemi principali nella gestione dell’accoglienza, dal 2011 a oggi, è stata la separazione dei richiedenti asilo da contesti di vita normali. Le amministrazioni che lasciano la gestione di queste persone esclusivamente in mano a enti gestori esterni, che isolano le persone dai contesti in cui vivono allo scopo di evitare i conflitti con i territori, che rinunciano a un ruolo di regia politica nei processi di integrazione dei richiedenti asilo avranno maggiori problemi nel momento in cui il sistema dell’accoglienza finirà (e come dicevamo sta finendo), le cooperative abbandoneranno il campo e le persone, o una parte di esse, continueranno a vivere su un territorio, ma senza aver creato legami significativi con i cittadini e i servizi di quel territorio;
– non basta più e forse non è mai bastato essere i portavoce degli emarginati ma occorre facilitare la costruzione di alleanze tra “marginali” e “vulnerati”. La logica associativa dell’alleanza tra “diversi” ispirata al principio federativo che rifiuta l’inquadramento burocratico dall’alto e ogni astratta pretesa omologante deve riguardare gli immigrati come gli autoctoni. Per questo cercheremo di facilitare e sostenere tutte le forme di auto-organizzazione e di mutuo aiuto che esistono o che nasceranno tra e con gli immigrati che vivono a Nonantola, immaginando anche forme di partecipazione politica laddove l’assenza della cittadinanza impedisca lo strumento del voto o della candidatura politica;
– lo sforzo di immaginare politiche per l’integrazione degli immigrati regolari, lo cercheremo anche per quelle persone che, alla fine del lungo ed estenuante iter della richiesta asilo, si vedranno rifiutare la domanda di protezione internazionale. Stiamo parlando di persone che hanno frequentato i nostri servizi, che hanno mangiato alla nostra tavola e o noi alla loro, che si sono spesi in vari modi per questo territorio, con cui abbiamo litigato, con cui abbiamo fatto festa, con cui abbiamo stretto rapporti di amicizia. Il diritto a vivere una vita dignitosa non può dipendere esclusivamente da un permesso di soggiorno.
4.4 LA PARTECIPAZIONE
Riteniamo inoltre sia indispensabile un’azione convinta e determinata a recuperare la necessaria connessione tra i diversi soggetti che operano sul nostro territorio: istanze di rappresentanza, organizzazioni sindacali, associazioni, forze politiche, comitati; e far sì che escano dai propri ambiti, per riconoscersi, confrontarsi, dialogare.
È necessario ricostruire il quadro di insieme. E’ una esigenza maggiore di quanto possa apparire: se gli obiettivi da raggiungere, le questioni da affrontare, i problemi da risolvere sono condivisi è più facile darvi soluzione. Una rete che va rigenerata, sviluppata, resa efficace.
Fronteggiare i problemi e i bisogni è l’essenza dell’azione politica.
È una sfida che tutti dobbiamo accettare: è la risposta agli individualismi, allo scoramento, alle paure, alla sfiducia.
E bisogna riattivare le forme della partecipazione attiva, contro il ricorso alle deleghe in bianco, all’astensionismo come forma di protesta.
Non è possibile accettare che le manifestazioni di una ritrovata solidarietà e di uno spirito di condivisione si attivi solamente di fronte a eventi catastrofici, quali alluvioni, terremoti o altre tragedie. Bisogna creare le condizioni che favoriscano lo sviluppo del senso di comunità agendo su attività che coinvolgano la collettività e la rimettano in connessione, che possano davvero, se incanalate in un processo di arricchimento e di sviluppo, attrarre l’interesse e la partecipazione di tanti.
Questo processo può consentire, se non una immediata partecipazione diretta di tanti, almeno un maggiore coinvolgimento dei cittadini sui progetti di comune interesse, e dal coinvolgimento può scaturire e riemergere quella naturale curiosità che potrà essere levatrice di un successivo impegno. È decisivo lavorare per sviluppare e alimentare la partecipazione. Questa sarà la risposta alla pratica della delega in bianco, alla astensione, che oggettivamente consegna il proprio futuro in mani che decidono altri.
Ricostruire la connessione e sviluppare la partecipazione lo si può realizzare con un impegno forte e deciso, ma imprescindibilmente da una necessaria ripartenza, che metta in campo forze nuove e giovani.
Come lista “Una mano per Nonantola” abbiamo messo al lavoro diversi gruppi per altrettante materie, e ci proponevamo in uno di questi di affrontare le problematiche che attraversano il mondo giovanile, ripromettendoci di garantire la presenza di giovani nella lista dei candidati alle prossime elezioni amministrative.
Dopo i primi due incontri del gruppo, ascoltate le riflessioni che ne uscivano e le esigenze che ne emergevano, abbiamo realizzato che stavamo ripercorrendo le vecchie strade di una politica che non è mai riuscita a consentire alle nuove generazioni di poter dispiegare pienamente le proprie istanze, di rappresentare efficacemente il proprio punto di vista e di poter veramente contare.
E allora ci siamo chiesti:
- come affrontare lo stato di malessere, di spaesamento, di solitudine che vivono tanti giovani, le cui passioni vengono intristite da prospettive e orizzonti nebulosi?
- e che luoghi, strumenti, opportunità possiamo individuare per dare una risposta positiva?
Giovani senza futuro
Se i giovani sono senza futuro, senza futuro sarà anche la società che non si occupa di loro.
“Ho sempre pensato che oggi i giovani, quando si ubriacano, quando si drogano, quando dormono fino a mezzogiorno, quando vivono di notte e non di giorno non lo fanno per il piacere dell’alcool o della droga, e neppure per la pigrizia che li trattiene dal darsi da fare, ma per anestetizzarsi da un mondo adulto che non li convoca, non li chiama per nome, non li vive come una risorsa ma come un problema. E loro non vogliono assaporare ogni giorno la loro insignificanza sociale.
Per questo si assentano, non parlano tra loro se non tramite i social, con cui condividono la sfiducia nel futuro, che a loro appare non come una promessa ma come qualcosa di minaccioso che divora i loro giorni, e poi i loro mesi e i loro anni, senza profilare non dico una promessa, ma una qualche opportunità, capace di infondere quel minimo di fiducia indispensabile per vivere. Il lavoro, infatti, non dà solo uno stipendio. Dà anche una dignità e una socializzazione più vera e significativa di quella virtuale. E sono queste dimensioni che motivano l’esistenza.
La nostra lettrice ci dice che a salvarsi sono solo quelli che oltrepassano la Manica. E allora verrebbe voglia di dire: fate come i vostri nonni e bisnonni che attraversavano l’oceano per trovare lavoro e dignità. Ma oggi le frontiere si stanno chiudendo a doppia mandata, non solo per gli immigrati, mentre lo sviluppo della tecnica riduce sempre più i posti di lavoro ed emargina l’uomo ridotto, quando ha ancora la fortuna di lavorare, a semplice funzionario di apparati tecnici. A questo punto suona patetico il principio fondante della morale kantiana: “L’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo.
L’umanesimo, che ha caratterizzato la cultura occidentale, rendendola capace di enunciare i “diritti dell’uomo” e, con essi, di praticare la “democrazia”, sembra abbia esaurito la sua forza propulsiva da quando, progressivamente, ha subordinato le aspirazioni dell’uomo alle esigenze del mercato, per cui, quando trattiamo con Paesi dove il mercato confligge con i diritti dell’uomo e con la democrazia, noi occidentali siamo i primi a sacrificare questi nostri valori pur di salvaguardare gli interessi del mercato.
E che speranze offre una società che nega il futuro ai giovani, quando il futuro è già loro per ragioni biologiche, anche se a questo futuro i giovani non possono prepararsi perché sono esclusi dai percorsi lavorativi, organizzativi, amministrativi, decisionali. E per giunta le loro visioni del mondo vengono trattate come ingenue utopie rispetto a quel “sano realismo” che assume il denaro come generatore simbolico di tutti i valori e scopo ultimo dell’esistenza, e dove è difficile vedere cosa ci sia di “sano” in questa visione che subordina l’uomo alla produzione di denaro, distribuito secondo principi di rigorosa disuguaglianza.
Nella lettera di Chiara traspare una sorta di autoironia che è la risorsa migliore e la più efficace difesa che ci salva dall’abisso della depressione, la quale toglie le forze e la capacità di cogliere anche quelle minime occasioni che si presentano per afferrare una prospettiva di futuro.”
(da D-La Repubblica del 1/09/2018 di Umberto Galimberti)
La diagonale
“… è quasi impossibile conservare la nozione del moto temporale rettilineo se il flusso unidirezionale del tempo viene scisso in forze antagoniste che sono dirette e agiscono sull’uomo.
… quello che in fisica si definirebbe un parallelogramma di forze.
Idealmente, le due forze del parallelogramma dovrebbero dare origine a una terza, la risultante diagonale, che partirebbe dal punto sul quale le prime due si scontrano e agiscono. Per un aspetto la forza diagonale si differenzierebbe dalle generatrici: queste sono entrambe illimitate nel senso dell’origine, in quanto provenienti l’una da un passato infinito e l’altra da un infinito futuro; però, se mancano di un principio conosciuto, hanno entrambe un punto terminale, quello in cui si scontrano.
Invece la diagonale avrebbe un limite nel senso dell’origine (il punto del cozzo tra le forze contrastanti) ma sarebbe illimitata nel senso opposto, essendo la risultante di due forze dall’origine infinita. Questa forza diagonale, avente un’origine nota, una direzione determinata dal passato e dal futuro, ma un termine illimitato, è l’immagine perfetta dell’attività del pensiero.”
(da Tra passato e futuro di Hannah Arendt)
Bisogna saper esercitare le proprie forze lungo la diagonale, quasi percorrendola avanti e indietro, col moto tranquillo e ordinato del pensiero. Col conforto della conoscenza e dello studio della storia, degli insegnamenti dell’esperienza e della consapevolezza sulle incognite del futuro, non restiamo ingabbiati tra le forze del passato e le nuove inquietudini. Aspiriamo ed agogniamo la costruzione di un futuro che dischiuda tutte le aspirazioni, correndo liberamente, curiosamente e creativamente sulla diagonale del nostro presente.
Grazie anche a queste riflessioni siamo approdati alla risoluzione di proporre ai giovani, che hanno aderito alla nostra proposta di lista civica, di verificare la possibilità di presentarsi autonomamente alle prossime elezioni amministrative con una propria lista di soli giovani.
Una lista che potrà scaturire da un gruppo di giovani di diverse estrazioni culturali, provenienti dalle tante esperienze vissute nel territorio, che si allarga e comprende una area vasta del mondo del volontariato, dell’impegno civile, degli studi e del lavoro, che condividono i valori essenziali di una comunità aperta, inclusiva, solidale.
Lasciamo a questa possibile esperienza alcune parole di sollecitazione:
VOTA GIOVANE ADESSO
e formuliamo ai nostri ragazzi i migliori auguri di buon lavoro.