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PER UNA NUOVA MOBILITA’

A cura del Gruppo Mobilità di UMPN

Una delle questioni all’esame delle pubbliche amministrazioni è quella relativa a come governare la mobilità delle persone nelle successive graduali fasi di riapertura delle attività produttive, scolastiche e sociali. Saranno molto probabilmente fasi lunghe e difficili da programmare e gestire, che necessiteranno del permanere di tante delle prescrizioni di contenimento della diffusione del contagio.
In uno studio della Bikenomist, “Piano di azione per la mobilità urbana”, sicuramente interessante per lo svolgimento che propone, ancorché più proiettato sulle problematiche delle grandi città, Paolo Pinzuti ci ricorda che:

Alla “riapertura” si continueranno ad applicare forme di distanziamento sociale che renderanno impossibile mantenere il normale uso dei mezzi pubblici e dei treni. È molto probabile che queste condizioni permangano per mesi e comunque fino alla capillare distribuzione di un vaccino o di farmaci per la cura degli effetti del virus. A prescindere dagli obblighi e dallo sforzo che potranno fare le aziende di trasporto per aumentare i servizi e ridurre l’affollamento è probabile che molti cittadini riterranno poco desiderabile la condivisione di spazi ristretti, contatti fisici e di superfici con altre persone, rendendo incerta per alcuni anni la ripresa per i servizi di trasporto collettivo.[…]
Tutti i cittadini che non potranno o non vorranno utilizzare il trasporto pubblico dovranno scegliere se muoversi in auto, in bici, a piedi o con altri mezzi propri, se sceglieranno l’auto sarà la paralisi totale delle città.

Anche nei trasferimenti con l’auto dai comuni al capoluogo di provincia si accentueranno le già grosse difficoltà che registravamo nel pre-Covid, oltre al fatto che non si potranno garantire le esigenze di distanziamento sociale all’interno dell’abitacolo.
Si impone, pertanto, la necessità di individuare proposte per la praticabilità degli spostamenti in bicicletta, di “ciclabili di emergenza“.
Anche a Nonantola dovremo affrontare questa problematica, all’interno ed assieme ad una rivisitazione e riprogrammazione di tutta la mobilità.

Alcuni dati di carattere generale
Il traffico urbano e peri-urbano in Italia era già al limite della sostenibilità prima dell’emergenza Covid-19 con cinque drammatiche conseguenze:

  • 3.400 morti e 250.000 feriti per incidenti con un costo economico di 21 miliardi euro/anno [fonte MIT] ;
  • oltre 80.000 morti premature/anno dovute all’inquinamento dell’aria;
  • una costante condizione di congestione, con 50 miliardi di Euro di PIL/anno perduti nell’inefficienza dei trasporti e della mobilità urbana;
  • malattie causate dalla sedentarietà che incidono sul bilancio dello stato per 12,1 miliardi di euro/anno, equivalenti all’8,9% della spesa sanitaria italiana;
  • una permanente condizione di insoddisfazione, stress e rabbia da parte dei cittadini.
    (fonte: Bikeitalia)

Come ci muoveremo, quindi, quando potremo finalmente muoverci in maggiore libertà?
La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli risponde in maniera chiara e concisa alla domanda in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 24 aprile 2020, in cui annuncia anche importanti novità in merito alla circolazione stradale. “La regola fondamentale sarà il distanziamento sociale”, conferma la ministra, con la conseguenza che “i mezzi pubblici viaggeranno al massimo col 50% dei posti occupati. E ci vorrà personale per controllare il rispetto delle regole”. All’inizio, molti tenderanno ad evitare comunque bus e corriere e preferiranno andare al lavoro in auto: c’è quindi il rischio che il traffico vada in tilt. Specie a settembre con la riapertura delle scuole.
Colao ha previsioni ancora più pessimiste.
Riporta Il Sole 24 Ore che in occasione della cabina di regia tra Governo ed enti locali che si è tenuta in videoconferenza il 22 aprile, il responsabile della task force predisposta in vista della fase due di gestione dell’emergenza Vittorio Colao ha fatto presente che con la riapertura dei trasporti pubblici e con le conseguenti misure di contingentamento si stima che gli utenti saranno il 15% di quelli che si registravano precedentemente all’emergenza Covid-19.

Non si possono aumentare bus e metro?
La De Micheli risponde: “Non ci sono i tempi per farlo nell’immediato. Dove si potrà sarà aumentata la frequenza negli orari di punta […]

Le aziende del TPL hanno i soldi per far fronte alle spese prevista dalle nuove regole?
“Abbiamo già anticipato alle aziende un miliardo e 600 milioni, cioè l’ 80% del fondo per il trasporto pubblico locale. Col prossimo decreto daremo loro altre risorse. Inoltre stiamo lavorando con il ministero dell’Economia per definire i trasferimenti con cui compensare le aziende della mancata bigliettazione conseguente all’abbattimento del numero dei passeggeri trasportati cui vanno incontro”.

E quindi, come si fa a non mandare il traffico in tilt, se sui mezzi pubblici può salire solo la metà degli utenti al massimo e non si riesce ad avere più mezzi in tempi brevi?
La de Micheli spiega: “Stiamo predisponendo misure legislative che potranno aiutare. Modificheremo il codice della strada per consentire l’apertura di piste ciclabili in via transitoria anche solo con segnaletica orizzontale e anticiperemo risorse. E nel prossimo decreto legge ci saranno incentivi per l’acquisto di bici, bici elettriche e monopattini. Inoltre, abbasseremo da 300 a 100 la soglia minima di dipendenti oltre la quale le aziende devono avere il mobility manager. Che avrà il compito di consigliare le migliori modalità di trasporto per i dipendenti».

E il lavoro da remoto (telelavoro/smart working)?
La ministra osserva: “Ci sarà una parte del lavoro che, almeno per un po’, continuerà in regime di smart working. Sarà tutto difficile ma la disciplina dei cittadini ci aiuterà e continueremo ad adeguare il sistema alle esigenze”.
In poche righe la Ministra De Micheli ha sintetizzato problemi, sfide e possibili soluzioni per la mobilità dopo Covid, indicando anche in quale direzione andranno gli sforzi del governo.

  1. Priorità al mantenimento del distanziamento interpersonale, che porta a una riduzione del carico massimo di passeggeri sui mezzi pubblici pari al 15-50%
  2. Tutele per le aziende di Trasporto Pubblico Locale, a fronte di minori entrate a causa della ridotta bigliettazione
  3. Non fattibilità di aumentare il numero di bus, metro e mezzi pubblici in genere sul breve periodo
  4. Risorse e modifiche al codice della strada per consentire l’ampliamento delle infrastrutture ciclabili e pedonali
  5. Incentivi per l’acquisto di bici, bici elettriche e monopattini.

Una virata decisa a favore quindi della mobilità attiva, come unica forma di mobilità che è possibile promuovere:

  • in tempi rapidi
  • con risorse limitate
  • salvaguardando il necessario mantenimento delle distanze interpersonali
  • rafforzando le difese immunitarie grazie all’attività fisica
  • tutelando i polmoni dalle infiammazioni dell’inquinamento che li rendono più facilmente attaccabili dal Covid-19.

Questo terribile virus infatti è più pericoloso e miete più vittime laddove c’è un’aria più inquinata.

Lo ha confermato una ricerca dell’Università di Harvard che ha preso in esame oltre 3000 contee negli Stati Uniti. Lo studio epidemiologico, diretto dall’italiana Francesca Dominici, ha evidenziato che sul lungo periodo basta un piccolo aumento dell’inquinamento dell’aria per fare aumentare di molto il tasso di mortalità del Covid-19. Si legge: “Abbiamo scoperto che un aumento di solo 1 μg per metro quadro nelle PM2.5 presenti nell’aria è associato ad un aumento del 15% del tasso di mortalità COVID-19. I risultati sono statisticamente significativi”.
Quindi se vogliamo proteggere i nostri concittadini dal Covid, dobbiamo adottare misure che non facciano risalire l’inquinamento ai livelli insostenibili pre-Covid, e spingere per la transizione verso mezzi di trasporto meno inquinanti certamente aiuta.

Anche le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità promuovono la mobilità attiva.
Sul sito dell’OMS è stata pubblicata una guida alla mobilità post Covid in cui si invitano le persone a usare la bici o camminare in tutte le circostanze possibili. Quindi, per tutelare al massimo la salute e l’incolumità dei cittadini le amministrazioni sono chiamate ad incoraggiare quanto più possibile la mobilità attiva: rendendola sicura attraverso la creazione e l’ampliamento di spazi per pedoni e ciclisti in via emergenziale, e con l’erogazione di incentivi.

E qui comincia a farsi sentire l’Avvocato del Diavolo… Riusciremo a convincerlo che è una buona idea promuovere fattivamente la mobilità attiva?

1 – Non siamo mica Copenhagen!
Copenhagen in realtà ha cominciato a incoraggiare la mobilità attiva quando negli anni 70 era paralizzata dal traffico, e quindi la loro situazione di partenza non era migliore della nostra. In ogni caso, non si tratta di Copenhagenizzare i nostri centri, ma di rispondere in maniera efficace e con la minima spesa e massima resa a una mobilità che potrebbe sennò diventare immobilità. E infatti, anche Milano e Roma stanno cominciando a muoversi in questa direzione.
A Milano. In un documento di 17 pagine chiamato Milano 2020, l’amministrazione guidata da Beppe Sala ha elaborato un piano per la mobilità di emergenza.
“Per evitare di avere un altro milione di auto nelle strade, dovremo potenziare le due ruote: per questo stiamo mettendo in campo un’azione straordinaria di realizzazione di percorsi ciclabili e di zone 30”, spiega Granelli, assessore alla mobilità e ai lavori pubblici. Il Comune di Milano sta predisponendo “atti e progetti per mettere in strada circa 35 km di nuovi percorsi ciclabili, da aggiungere ai poco più di 200 già esistenti, in un tempo compatibile con l’emergenza. E i primi saranno realizzati in maggio e giugno 2020”, ha concluso. Sono tre le modalità che il Comune ha pensato per aumentare i percorso ciclabili a Milano. “La prima è fare percorsi ciclabili e pedonalità che allarghi i marciapiedi dove è necessario camminare meno fitti, nel minore tempo possibile, in sola segnaletica – ha detto Granelli – Una seconda modalità sarà utilizzare i controviali di assi della nostra città facendoli diventare zone 30 e far circolare le biciclette insieme con gli altri, ma in migliori condizioni di sicurezza e a bassa velocità”.

2 – Va beh, ma Nonantola non è nemmeno Milano. La mobilità di emergenza va bene in città, ma nei piccoli centri non è applicabile.
Niente affatto! La Sindaca Hidalgo di Parigi ha lanciato un’idea interessante, a cui ha fatto scuola Sala, Sindaco di Milano>: riorganizzare servizi e attività commerciali nei quartieri, in modo da permettere ai residenti di trovare tutto quello che serve nel raggio di 15 minuti a piedi. Spiega l’assessore all’Urbanistica di Milano Pierfrancesco Maran: “Il fine ultimo è la difesa delle attività di quartiere. Sono servizi importanti le botteghe, i bar, le trattorie…”.
Noi a Nonantola abbiamo la fortuna che nel centro abitato praticamente tutto à raggiungibile in 15 minuti a piedi! Potenziare l’infrastruttura della mobilità attiva in un centro come il nostro significa anche ridare ossigeno all’economia locale, specie ora che le visite ai centri commerciali e le “vasche” in Via Emilia per via dell’affollamento diventano meno attraenti. Certo, non sono processi che si attuano in pochi mesi: ma interventi temporanei e sperimentali di ampliamento spazi per pedoni e ciclisti possono poi essere resi permanenti se si vede che funzionano. E sennò, sono facilmente reversibili: pazienza, ci abbiamo provato.

3 – Ma Nonantola non ha bisogno di interventi per sostenere la mobilità attiva: ci sono già un sacco di ciclabili, la gente può già pedalare in sicurezza.
Molte “ciclabili” a Nonantola sono in realtà ciclopedonali, alcune persino di dimensioni troppo ridotte per essere a norma. Le ciclopedonali creano conflitti tra gli utenti deboli della strada, e questa promiscuità le rende inadeguate a mantenere il distanziamento interpersonale perché comprime troppi utenti in poco spazio.
D’altra parte, la mappa degli incidenti a Nonantola conferma che sulle direttrici principali (Via Provinciale/Vittorio Veneto e Via Maestra di Redù) esistono delle criticità. Abbassare il limite orario a 30 km/ora non comporterebbe significativi aumenti di percorrenza per le auto (nell’ordine di un minuto o due), mentre renderebbe possibile per le bici il transito in sicurezza sulla carreggiata stradale. Del resto, non è nulla di nuovo: è parte anche del nostro programma politico! L’emergenza Covid ci dà solo la possibilità (ci costringe?) a mettere in campo alcune di queste misure prima del previsto, seppure in maniera provvisoria.

4 – Ma cosa sarebbero questi interventi provvisori per la mobilità di emergenza?
Sarebbero modifiche temporanee della viabilità finalizzate a proteggere e incrementare l’uso della bicicletta (sia muscolare che elettrica) e dei mezzi della micromobilità (monopattini elettrici ecc.) e ampliare gli spazi per pedoni e disabili, con queste caratteristiche:

  1. Facilmente attuabili in tempo breve;
  2. Realizzabili con la sola segnaletica, senza complessi interventi strutturali;
  3. Che garantiscono la sicurezza di chi le utilizza;
  4. Facilmente reversibili se non risulteranno efficaci;
  5. Con costi complessivi decisamente ridotti.

Possono essere realizzati anche solo con la segnaletica orizzontale (vedi foto, ciclabile pop-up per la fase di emergenza Covid a Berlino), inserendo eventualmente nei tratti più pericolosi coni, delimitatori flessibili, fioriere o new jerseys. Questo permette tempi di realizzazione brevissimi: minima spesa, massima resa.

5 – Ma è legale fare modifiche di questo tipo?

Scrive Bikeitalia nel Piano di azione per la mobilità urbana post-Covid: “La totalità degli interventi proposti può essere realizzata con modifiche ed integrazioni alla segnaletica orizzontale e verticale ed, in alcuni casi, con l’ausilio di delimitatori di carreggiata o elementi di arredo. E’ quindi opportuno effettuare gli interventi con segnaletica di cantiere (colore giallo) secondo quanto previsto dagli artt. 31 e 32 del Regolamento del Codice della Strada.

Gli interventi saranno segnalati secondo gli schemi del D.M. 10 luglio 2002 “Disciplinare tecnico relativo agli schemi segnaletici, differenziati per categoria di strada, da adottare per il segnalamento temporaneo” e Decreto Interministeriale 22 gennaio 2019 “Individuazione della procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare”.
In questo modo potranno essere segnalate particolarità dal punto di vista delle dimensioni e della conformazione della strada integrando la segnaletica verticale ed orizzontale con segnali di cantiere.”

6 – Sì, ma il vero problema di Nonantola è il pendolarismo verso Modena: su quello non c’è niente da fare.
Niente affatto, e ce lo mostrano i nostri vicini bolognesi. Il Sindaco Merola in una conferenza stampa ha presentato pochi giorni fa il progetto della Bicipolitana. Il progetto si compone di una rete formata da dieci direttive principali, che connetteranno tutti i principali centri abitati e i poli produttivi del territorio metropolitano. Il progetto era già sul tavolo dei lavori, ma ha subito un’accelerazione per fare fronte alla fase 2 evitando che il traffico paralizzi la città. Le strategie proposte durante la videoconferenza per la realizzazione della Bicipolitana sono quattro, come si legge nel progetto: «riavviare i cantieri sospesi, velocizzare i cantieri programmati, cantierizzare velocemente i progetti, corsie temporanee di connessione, soluzioni temporanee sfruttando gli interventi di manutenzione».

7 – Ma Modena in bici è troppo distante!
Se si guarda la mappa della bicipolitana di Bologna, ci si accorge che le ciclovie coprono distanze di tutto rispetto. Con una bici elettrica che arriva facilmente ai 25 km orari, 10 km si fanno in poco più di 20 minuti, senza sudare.

8 – Dici bene tu, ma una bici elettrica costa troppo. E il governo finora ha annunciato incentivi solo per le città oltre i 60mila abitanti, e noi siamo tagliati fuori.
Per arrivare a Modena, la ebike può aiutare, ma non é strettamente necessaria.
Una bici elettrica costa dai 700 euro in su, a seconda delle esigenze e delle tasche, l’equivalente di 2 anni circa di abbonamento della corriera per Modena. Per contro, il sito alvolante.it ha calcolato che il mantenimento di un’auto solo per assicurazione, bollo e carburante costa in media all’anno tra i 1500 e i 1600 euro l’anno, di cui in media per l’Emilia Romagna oltre 900 euro vengono spesi l’anno solo di carburante. A questo vanno aggiunti l’ammortizzazione del costo di acquisto, le riparazioni eccetera, che porterebbero il totale tra i 3000 e 5000 euro a seconda del tipo di auto e della percorrenza. In proporzione, l’acquisto di una bici elettrica permette di risparmiare non poco sul medio termine.
E’ possibile inoltre che ulteriori incentivi vengano decisi a livello regionale.

9 – Ma poi, da dove si passerebbe che la Provinciale è già troppo stretta com’è?
Occorre individuare insieme a un esperto della mobilità (abbiamo la fortuna nei prossimi mesi di avere a disposizione quello incaricato per il PUG) un percorso parallelo, utilizzando parte della rete della viabilità secondaria che verrebbe resa a precedenza ciclabile e pedonale. Questo comporterebbe il declassamento a strade F1-bis, riservate a pedoni, ciclisti e residenti: se si elimina il traffico di scorrimento, e si abbassano i limiti di velocità (con opportuni controlli), le bici possono muoversi in sicurezza. Sono provvedimenti già presi nell’hinterland milanese, che hanno funzionato.
L’ipotesi più plausibile è un percorso su via Rebecchi-Via Maestra di Bagazzano.

10 – Ma è una pazzia! Se aumentano le auto, noi cosa facciamo, togliamo loro spazio e chiudiamo delle strade? Così si peggiora la situazione e poi i cittadini si imbufaliscono.
Chi si occupa di mobilità da anni lo dice: anche se sembra impossibile, chiudere alcune strade al traffico di scorrimento per renderle ciclabili è l’unico modo di migliorare il traffico in generale. Questo perchè così si fanno diminuire i veicoli in circolazione, dando la possibilità a chi vuole di usare la bici al posto dell’auto. Quando si guarda al traffico, l’offerta crea la domanda: se si predispongono ciclabili sicure, si avranno molti ciclisti. Se si allargano strade… si avranno altri automobilisti. Andrà però spiegato bene, con una comunicazione efficace. Non stiamo penalizzando il traffico motorizzato: stiamo cercando di alleggerirlo nell’unico modo possibile, in modo da rendere più agevoli gli spostamenti di tutti.

11 – Ma sarebbe un investimento inutile: la ciclabile non la userebbe nessuno.
Immaginiamo cosa succederebbe se tra il 50 e il 70% degli utenti del trasporto pubblico dei centri vicini a Modena si riversassero in città con l’auto privata. Da Nonantola, Castelfranco Emilia, Albareto, Bastiglia, Campogalliano, Rubiera, Casinalbo, San Damaso, Montale: tutto insieme si tratterebbe di migliaia di auto in più. La Tangenziale andrebbe incontro alla paralisi. Trovare un parcheggio diventerebbe impossibile. Se il 50/70% dei genitori dei ragazzi che vanno a scuola a Modena da questi centri li accompagnassero in auto al portone della scuola, si creerebbero ingorghi pazzeschi. Sulla Nonantolana, essendo il traffico a Modena in tilt, le auto resterebbero incolonnate per ore: lo stesso effetto che ha creato le code davanti alla Coop, trasferito sul traffico. Con l’aggravante che a lavorare o a scuola in molti dovranno andarci tutti i giorni, non una volta la settimana.
Ricordiamo che già ora, la SP255 Nonantolana è l’arteria più trafficata della Provincia, con 11 milioni di transiti l’anno e tempi di percorrenza che, per 10 km, nelle ore di punta sfiorano i 50 minuti in auto.
Messi di fronte alla scelta tra farsi 40 minuti in bici (o 25 in bici elettrica), parcheggio incluso (e comodo), oppure un tempo indefinito fermi in auto sulla Provinciale, non solo gli sportivi o gli ambientalisti ma magari anche qualcuno degli automobilisti più incalliti si convincerebbe a inforcare la due ruote. Specialmente gli automobilisti incalliti che, data la fase di crisi economica che si è aperta con il Covid, dovranno rivedere al ribasso il budget famigliare e potrebbero trovarsi costretti a rinunciare controvoglia alla seconda (o terza) auto in famiglia.
In queste circostanze, per l’amministrazione comunale, offrire una possibilità di spostarsi diversamente, in bici e in sicurezza, non è solo un investimento utile ma indispensabile. Anche per garantire a tutti, anche a chi la macchina non può permettersela, il diritto di poter arrivare a Modena in maniera sana, economica e non inquinante per studiare o lavorare.

12 – Ma perché mai poi uno dovrebbe decidere di andare a Modena in bici?
Per una serie di ragioni:

a. Risparmiare denaro.
Le tabelle ACI – 2020 che indicano i rimborsi per chi usa l’auto per ragioni lavorative prevedono un costo al chilometro compreso tra i 30 centesimi e 1,2 euro. Calcolando circa 10 chilometri per arrivare in centro a Modena, il risparmio individuale rispetto all’uso di un’auto si aggirerebbe quindi tra i 6 e i 24 euro al giorno. Mica poco!
Senza contare gli incentivi annunciati dall’Assessore Regionale Irene Priolo (pari a un milione di euro complessivi – un massimo di 50 euro al mese per persona) per chi decidesse di recarsi al lavoro in bicicletta.

b. Mantenersi in forma.
Secondo l’Università di Harvard, una persona di 70 chili che pedala a una velocità intorno ai 18 chilometri all’ora brucia circa 300 calorie in 30 minuti. Inoltre, pedalare regolarmente (almeno per 50 km la settimana) può abbassare il rischio di cancro del 45% e di malattie cardiocircolatorie del 46%.

c. Aumentare il rendimento sul lavoro e a scuola.
Le endorfine del movimento sono anti-stress, aumentano il buonumore e la capacità di concentrazione e migliorano fino a un 15% il rendimento lavorativo (e scolastico).

13 – Sarà, ma io in bici a Modena non ci andrei mai.
Forse no, e va bene, è una scelta. Alcune persone magari non sono nelle condizioni fisiche di potersi muovere pedalando. Ma tante altre sì. E per ogni auto in meno sulla Nonantolana (e ogni posto auto libero a Modena), ne traggono vantaggio tutti, anche coloro che per qualsiasi ragione non possono o non vogliono fare a meno dell’auto.

14 – E quanto ci costerebbe tutto questo?
Passando per Via Rebecchi-Via Maestra di Bagazzano sono circa 5 km fino a Navicello: volendo risparmiare su tutto ciò che non è strettamente necessario, con una segnaletica orizzontale di minima e segnali verticali, dovrebbe costare intorno ai 20-25 mila euro. Circa quello che ci costa un anno di convenzione con TPER per trasportare in corriera i 40 studenti nonantolani che frequentano le superiori a San Giovanni.

15 – E poi, se anche si riuscisse ad arrivare in bici a Navicello, cosa succede che non è più territorio di Nonantola?
Arrivare a Navicello sarebbe già completare metà dell’opera. Da qualche parte bisogna cominciare: e quando ci sarà un progetto approvato per raggiungere il territorio modeneze, si sarà nella posizione di poter interloquire con Provincia e Comune di Modena per chiedere la prosecuzione del percorso. Si dovrà cercare una soluzione di emergenza all’attraversamento della Panaria, e poi eventualmente un allargamento della banchina della provinciale per permettere il transito delle bici in sicurezza. Via Fossa Monda potrebbe essere utilizzata dai ciclisti come una valida alternativa alla prosecuzione verso i Torrazzi, e per il ritorno da Modena.

16 – E i ragazzi delle scuole superiori? I genitori non si fideranno comunque a lasciali venire in bici.
Si potrebbe organizzare, con il supporto di accompagnatori volontari, un “BiciBus” per i ragazzi che vanno a scuola a Modena: un “autobus a due ruote” formato da un gruppo di studenti in bicicletta che vanno e tornano da scuola accompagnati da alcuni genitori e/o volontari, lungo percorsi prestabiliti in base ai poli scolastici e messi in sicurezza. Come per le linee dei veri autobus, i percorsi del BiciBus avrebbero un capolinea e delle fermate intermedie, individuate con cartelli che riportano gli orari di partenza e passaggio nell’andata e nel ritorno. Per aumentare la visibilità e la sicurezza di tutti, ai ragazzi verrebbe chiesto di indossare un casco ed una pettorina catarifrangente, come pure agli accompagantori.

17 – Ma il ciclista respira molto più inquinamento di un automobilista. 
Falso. Un recente studio dell’Università di Leeds ha confermato che, se confrontati con gli automobilisti, i ciclisti respirano meno inquinamento sulle tratte più congestionate. In prima istanza perché di solito sulle tratte congestionate sono più veloci delle auto. Agli automobilisti poi va peggio anche perché l’abitacolo di un’auto nel traffico è una camera a gas, anche se ci si sente protetti: attraverso i condotti di ventilazione, il particolato e l’inquinamento penetrano e rimagono dentro, a dispetto dei filtri che tendono ad intasarsi in fretta.
Usare le mascherine anti-smog è una buona strategia per difendersi dall’inquinameno e dalle emissioni dannose che rischiano di nuocere alla salute, specie con modelli con valvole e carboni attivi, che sono dotate di filtri in grado di allontanare dalle vie respiratorie le polveri sottili.

18 – E il sudore?
Ovviamente evitare di sudare è impossibile. Capi intimi in lana merinos aiutano contro la sensazione di bagnato e l’odore, ma sarà opportuno rinfrescarsi e lavarsi una volta a destinazione almeno nelle zone critiche (ascelle, collo e viso), il che richiederà di attrezzarsi con un beauty case, un piccolo asciugamano e una maglietta di ricambio. Così come ci attrezziamo quando andiamo in palestra, o in piscina…
NB: una bici elettrica permette di sudare 3 volte di meno.

19 – E gli abiti eleganti?
Manager, persone a contatto con il pubblico e tutti coloro che per obbligo o per volontà indossano completi eleganti sul posto di lavoro avranno bisogno di attrezzare una piccola zona dove potersi cambiare. Una bici dotata di borse impermeabili e capienti aiuterà nel trasporto di abiti e scarpe senza che si stropiccino.

Insomma il mondo sta cambiando davanti ai nostri occhi, lo vogliamo vedere, o no?

Nonantola, 28-04-2020.

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