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La scuola travolta dall’emergenza Covid-19: come ha reagito, come intende ripartire. Le riflessioni di studenti, insegnanti e genitori
Gli interrogativi
- La didattica a distanza, attivata in questo periodo, ha consentito di mantenere un filo di collegamento (se pure, a volte, molto sottile) tra gli studenti e il mondo della scuola, ponendosi anche come punto fermo e di riferimento nelle giornate improvvisamente svuotate di impegni. Ma come è realmente stata vissuta dai protagonisti di questa situazione? Quali sono state le difficoltà, le resistenze e le fatiche del mondo degli insegnanti? Quali quelle degli studenti e delle loro famiglie?
- Luci e ombre della didattica a distanza: quali elementi positivi sono emersi, di cui possiamo far tesoro per il futuro?
- La didattica a distanza è da considerare una valida soluzione per una situazione di emergenza o può essere un “assaggio” di uno scenario futuro al quale, volenti o nolenti, dobbiamo prepararci e adeguarci?
- Alla riapertura delle scuole si porrà il problema di come tenere insieme due elementi: l’esigenza di “sicurezza sanitaria” e il desiderio di comunità scolastica. Quali idee e principi imprescindibili devono essere tenuti in considerazione per scrivere uno scenario possibile, che risponda alle esigenze di tutte le parti in gioco? E’ il momento, però, di pensare anche a proposte molto concrete e realizzabili, osando intraprendere anche strade nuove e non battute.
- Abbiamo tutti un gran bisogno di percepire che tutto tornerà come prima, ma forse questo periodo può essere un’occasione per avviare una seria riflessione sul mondo della scuola e sulle sue zone d’ombra: quali aspetti non vorremmo ritrovarci alla riapertura dell’anno scolastico, e quali risposte dare ai nuovi bisogni che sono emersi, o che si è finalmente riusciti a focalizzare meglio?
Le risposte
Proviamo a mettere giù qualche idea.
Pro:
- la didattica a distanza attivata ha avuto il merito di mantenere un collegamento tra il mondo della scuola e lo studente. In particolare dalle elementari, ma soprattutto dalle medie in su, ha fatto sì che una sorta di idea di classe potesse continuare ad esistere. I ragazzi si sono almeno potuti vedere in faccia, anche se tramite uno schermo…
- le maestre motivate hanno dimostrato una notevole capacità di adattamento e si sono rapidamente formate (a livello tecnologico) e adeguate alla nuova modalità comunicativa, riuscendo a produrre anche materiali e attività stimolanti.
Ma, dal nostro punto di vista, è da considerare una didattica di emergenza che, appunto, è utile come prima risposta a un situazione di crisi: non può e non deve diventare la norma o un nuovo modo di fare scuola.
Perché? Per tante ragioni. Ne “nominiamo” almeno dieci.
- Questo tipo di didattica privilegia e sostiene quasi esclusivamente l'aspetto cognitivo e di sviluppo dei contenuti, ma è fortemente deficitaria dal punto di vista relazionale: la scuola non dovrebbe essere un luogo dove solamente si acquisiscono delle nozioni, ma è soprattutto un luogo dove acquisire competenze relazionali. È una palestra di vita, dove si impara a stare in mezzo ad altre persone con tutto ciò che questo comporta (gestire dei conflitti, imparare a mediare, capire l'importanza di più punti di vista, ecc..). I professori si sono potuti concentrare sulla didattica, sul programma, probabilmente anche con minore fatica, perchè è venuto meno il problema del "mantenere la disciplina in classe", ma a che prezzo? Con quale perdita di umanità, spontaneità e complessità relazionali, che rendono più impegnative (faticose?) le lezioni in classe, ma anche più vere e piene di soddisfazioni?
- Il contatto umano è imprescindibile per qualsiasi forma di vera educazione e di relazione. Il contatto visivo e uditivo mediato da una schermo ne è un blando sostituto.
- I ragazzi (dalle medie in su )stanno passando veramente troppo tempo davanti ad uno schermo perchè, oltre alle lezioni frontali, devono preparare diversi materiali fruibili sempre solo tramite mezzi tecnologici.
- Si è quasi completamente cancellato qualsiasi altro approccio allo studio, che non sia quello cognitivo. Cioè: è quasi sempre il cervello che viene interpellato, pochissimo la manualità, inesistente l'approccio esperienziale o il senso artistico, anche perchè ovviamente, dovendo fare una scelta, si è optato di mantenere le materie "forti", a discapito di quelle più creative/fisiche (arte, musica, educ. fisica). E questa scelta rispecchia la concezione della scuola pubblica italiana che noi, personalmente, non condividiamo: ci sono materie di serie A e materie di serie B, e queste ultime sono proprio quelle dove è richiesto l'uso di altri parti del nostro corpo: le mani, i sentimenti, il corpo in movimento… insomma l'arte in tutte le sue sfaccettature (indicativo è il fatto che alle elementari si faccia pochissima educazione artistica, quasi nessun progetto musicale e nessun progetto di teatro a livello curriculare, se non con finanziamenti ad hoc dei genitori).
- L'aspetto esperienziale (camminate nei parchi per "studiare" gli alberi, uscite in biblioteca per avvicinare alla lettura, semina degli ortaggi per capire il ciclo vitale delle piante, incontri con anziani e testimoni delle guerre per rendere la storia qualcosa di vivo, ecc), già fortemente minoritario in una scuola che sempre più predilige la lezione frontale, viene totalmente, e per forza di cose, azzerato in una didattica di questo tipo.
- Non tutte le famiglie disponevano di strumentazioni e competenze tecnologiche adeguate a partecipare fin da subito alle videolezioni; penso a famiglie indigenti e ad altre straniere che hanno fatto molta fatica a seguire con regolarità le lezioni.
- Ci sono state difficoltà a conciliare il lavoro dei genitori con la presenza a casa di minorenni che, in particolare nella fascia delle elementari, necessitavano di una presenza nel momento della videolezione (spesso erano affidati a nonni, che non sapevano usare i computer).
- In una società ipertecnologizzata come la nostra, dove i ragazzi hanno continue sollecitazioni in questo senso, noi ci auspichiamo, invece, che la scuola sia in grado di fare altre sollecitazioni: di offrire occasioni diverse, vere, reali, non virtuali, manuali, nella natura, a contatto con persone affascinanti, materiali creativi.
- Un piccolo accenno ai ragazzi con disabilità: in moltissimi casi questi bambini hanno un bisogno immenso del contatto umano, necessitano di approcci differenti che non possono in alcun modo essere veicolati dal mezzo tecnologico (uno di noi segue una bambina autistica, che davanti allo schermo resiste 5 minuti...).
- E infine, ma pensiamo che qui dovrebbero parlare le maestre, riteniamo che il ruolo dell'insegnante venga fortemente penalizzato e sminuito perchè difficilmente potrà mettere in pratica tutte quelle competenze umane, a volte materne, che contribuiscono a rendere speciale il rapporto tra un bimbo e la sua maestra (penso in particolare alle elementari).
Insomma, noi speriamo che da settembre questo tipo di didattica possa essere superata o relegata ad un ruolo marginale e che si possa pensare a soluzioni creative. Quali? Beh, rimandiamo in particolare agli articoli pubblicati sul sito comune-info.net, dove esperti propongono varie soluzioni.
Innanzitutto dare ai ragazzi la possibilità di vedersi dal vivo e di "sentirsi" di nuovo gruppo classe, senza dividere le sezioni, ma predisponendo spazi più ampi, dove possa essere garantito il distanziamento fisico, ma anche il diritto a stare insieme. Spazi prevalentemente all'aperto (che da noi non mancano), finché è possibile, magari con l'ausilio di leggere tensostrutture e poi, con l'arrivo del freddo, sfruttando tutti gli spazi al chiuso disponibili (Villa Emma? Chiese?).
E poi pensare ad una scuola itinerante, che metta in moto la mente tramite il movimento del corpo, che possa essere sul territorio, dialogare con i saperi del territorio. Visite (sempre con le adeguate misure di sicurezza, mascherine, distanza, ecc.) al fornaio, ai testimoni, al bosco... Imparando la matematica saltellando in piazza liberazione, tra un ciottolo e l'altro. Insomma più esperienziale, in movimento, creativa. Meno dietro i banchi e dietro una cattedra, più nella vita vera.
La didattica a distanza, fino a qualche mese fa cosa totalmente sconosciuta, è entrata a piede teso nelle nostre case e nelle nostre vite.
È stata, per noi, il primo passo verso una nuova normalità. Dopo una brusca e inaspettata interruzione della vita e della quotidianità, dopo un iniziale momento di sfasamento e smarrimento, è stato proprio l’avvio di questa nuova forma di didattica a ridare alla nostra famiglia, e soprattutto ai nostri due figli che la praticano, una nuova routine di vita, di ritmi, di impegni, di “aggancio” ad una pseudonormalità fatta di nuove attività con un legame però alle vecchie attività.
Credo, crediamo, sia stato da un lato molto faticoso per gli insegnanti (ed essendolo entrambi è in realtà più di una sensazione) che si sono trovati, non formati, ad affrontare una situazione unica nel suo genere.
Qualcuno, nella nostra esperienza, ha più velocemente e meglio colto che la didattica a distanza richiede dei modi, dei linguaggi, dei tempi e un ritmo differente da quella di presenza, qualcuno si “limita” a fare una lezione frontale di vecchio stampo.
Credo, crediamo, che non sia stato altrettanto difficile per i ragazzi, almeno per i nostri, già più abituati a rapportarsi ed interfacciarsi col mondo da remoto, quindi con molte meno difficoltà, almeno tecniche.
La maggior difficoltà riscontrata dai nostri ragazzi è legata ad una timidezza caratteriale tale per cui è più facile che lo studente si “perda nel mucchio” da remoto piuttosto che in presenza.
Cosa potremo portarci da questa esperienza di positivo?
Ora che è collaudato questo nuovo modo di fare scuola si potrebbe pensare che anche in futuro in casi particolari, alunni malati che non possono frequentare per lunghi periodi possano continuare a mantenere un legame con la loro vita , seppur remoto e in parte anafettivo, ma pur sempre migliore del nulla.
A parere nostro la didattica a distanza non può essere paragonata alla didattica di presenza, è altro. È una possibile risposta ad un’emergenza molto importante alla quale, volenti o nolenti, dovremo adeguarci se richiesto, ma resta un’esperienza altra rispetto alla didattica. E se questo è vero per tutti, è ancor più vero con bambini piccoli (nido, infanzia), con bambini disabili per i quali l’aspetto sociale vale quanto quello didattico e presumibilmente per le loro famiglie che si trovano caricate di pesi a volte veramente molto difficili da reggere.
Sicurezza e comunità scolastica, difficili da conciliare ed entrambi parimenti importanti.
Probabilmente il distanziamento sociale (brutto, preferiamo chiamarlo distanziamento fisico) è difficile e pesante da reggere quanto la ipotetica malattia.
I bambini, gli adolescenti, i ragazzi, hanno per loro natura un fisiologico bisogno di comunità, di confrontarsi coi pari, di scontrarsi con gli stessi, e questa nuova forma di didattica è principalmente su questo aspetto che va ad incidere ed è questo che ai nostri figli manca, seppur in modo differente.
Secondo noi è importante tener molto presente anche questo aspetto, pari almeno a quello della sicurezza.
Proposte nuove non ne abbiamo (o saremmo ministri), ma si potrebbe prendere spunto da esperienze altre: scuole all’aperto, almeno per le fasce di età più basse; classi poco numerose; certo che se per tornare a scuola si deve pensare ad una tipologia di scuola “fredda”, solo distanziati, senza contatti, immobili, senza spazi e tempi di condivisione (mensa, ricreazione, …) forse da un punto di vista sociale non cambia molto rispetto alla didattica a distanza. La scuola italiana si basa su principi di socialità, comunità, inclusione, per realizzare i quali non basta andare fisicamente dentro un’aula, ma occorre poter attuare strategie e metodologie che richiedono tempi e ambienti per poter socializzare, comunicare, accogliersi.
L‘apertura delle scuole , a nostro avviso, comporterebbe comunque anche una sorta di ammortizzatore per le famiglie dove i genitori lavorano e hanno necessità di accudimento per i figli.
AHAH…! Ecco che ribadiamo quanto sopra.
Pur consapevoli che la scuola sia anche una risposta alle famiglie per l’accudimento dei figli durante le ore di lavoro, ciò che ci piacerebbe ritrovare all’apertura della scuola è una maggiore consapevolezza da parte della comunità extrascolastica (genitori, enti, …) dell’importanza della scuola stessa nel percorso di apprendimento e di crescita dei nostri figli.
Speriamo si faccia tutti tesoro dell’aver toccato con mano la fatica che si fa quotidianamente a tenere vicini i ragazzi alle attività scolastiche, a mantenere l’interesse vivo, la curiosità accesa, aver avuto la possibilità di collaborare tanto, per amore o per forza, in questo periodo famiglia/scuola speriamo abbia dato il via a nuove forme di collaborazione future, più intense, più partecipate, più vere.
La scuola si è dovuta, suo malgrado, fidare delle famiglie e dei propri ragazzi, le famiglie si sono dovute rendere, volenti o nolenti, partecipi del percorso dei propri figli, gli studenti hanno dovuto tirar fuori il carattere e far vedere agli adulti che sono autonomi (non è necessario forse crescerli sotto inutili campane di vetro), che sono affidabili, che sono capaci, nella più parte dei casi, di portar a termine i loro impegni.
Si parla tanto nella scuola di compiti di realtà, quale miglior prova di questa del saper dare risposta ad un compito di realtà?
COSE NEGATIVE
Io preferisco la scuola di prima, quella senza coronavirus. Perché?
- Capisci meglio gli argomenti da persone che sono realmente di fronte a te, e non di fronte ad un computer.
- È anche più bello seguire la lezione se sei in classe.
- Poi per noi studenti è anche più bello stare in classe perché ci sono i tuoi compagni e con loro puoi parlare. Poco ma puoi.
- Per me è anche brutto stare così tanto tempo attaccata al computer o a cose tecnologiche.
- Quando il prof spiega, se sei in classe hai anche la voglia di seguire le lezioni, invece davanti al computer non ne hai voglia e inizi a fare altre cose. Tanto, basta che chiudi la fotocamera e se proprio non puoi spegnere la fotocamera sposti il computer in modo che loro vedono solo la tua faccia e intanto fai altro, come chi non vuole fare niente o guardare video su internet.
- Per ultima cosa voglio dire che quando i prof interrogano o fanno verifiche tutti usano gli schermi o comunque fanno di tutto per poter copiare.
COSE POSITIVE
Non c’è niente di positivo in questa situazione, ovviamente è meglio così che senza scuola, però è meglio la scuola vera che la scuola sul computer.
Però ho notato che alcune persone che normalmente non sono molto brave a scuola ora, che siamo a casa, sono più motivate e anche nella lezione partecipano molto di più e sono più brave in generale. Altre invece, proprio per il motivo che rimaniamo a casa, vanno sempre peggio con i voti perché non si impegnano.
CONSIGLI
Non saprei che consigli darvi per settembre, però spero tantissimo di poter tornare a scuola per rivedere i compagni, in qualunque modo. E poi, l’unica volta che la maggior parte delle persone della nostra età dicono di voler tornare a scuola, mandateceli.
Penso che sicuramente questa didattica a distanza ci abbia aiutato a capire che al giorno d’oggi anche in momenti di emergenza come questi una soluzione la si trova sempre. Un aspetto positivo emerso da questa forma di didattica è sicuramente il fatto che si possa recuperare molto tempo: gli spostamenti per arrivare a scuola sono molto rilevanti e per uno studente ad esempio di Nonantola, il tempo perso per tornare a casa è di circa un’ora. Ciò porta a posticipare lo studio pomeridiano. Questa situazione ci permette così di acquistare tempo prezioso da poter dedicare ai compiti da svolgere per il giorno seguente.
Tuttavia penso che il metodo di didattica a distanza possa avere i suoi lati positivi solo per un arco di tempo limitato. Penso infatti sia necessario per uno studente avere un rapporto diretto e non virtuale con i compagni e gli insegnanti, in modo tale da poter imparare a creare e stabilire rapporti sociali ed inserirsi nella comunità.
Un altro aspetto negativo è che riuscire a restare attenti con questa forma di didattica è molto più difficile che con l’insegnamento tradizionale.
Personalmente non ho grandi problemi con il metodo di insegnamento tradizionale anche se penso che spesso sia troppo elevata la quantità di compiti da svolgere nel pomeriggio, che porta la maggior parte degli studenti a dedicarsi interamente ad essi e non permettendo loro di avere anche altri interessi al di fuori della scuola. Inoltre, a volte l’atmosfera scolastica che si crea nelle classi può mettere a disagio gli studenti: il sovraccarico di ansia che molti ragazzi si portano dietro può avere molti risvolti negativi anche a livello di studio.
Personalmente non ho idee su come risolvere in futuro questo problema, ma a mio parere penso non sia efficace sostituire definitivamente la scuola tradizionale con una virtuale. L’idea già proposta di iniziare alternando videolezioni a vere lezioni in classe potrebbe essere un buon punto di partenza.
Difficile trovare un filo conduttore per ordinare i pensieri...
L'unica cosa che riesco a fare è buttarli giù in disordine, così come arrivano, a partire dalla mia esperienza di mamma di due bambine delle elementari.
Sia chiaro, ho rispetto e stima per l'impegno e per la fatica che il mondo della scuola, i docenti e il personale scolastico hanno fatto e stanno facendo per affrontare questa situazione improvvisa e difficile, ma la didattica a distanza ha evidenziato parecchie falle del nostro sistema scolastico, tanto a livello macroscopico, ovvero del paradigma pedagogico e nell'impianto metodologico e organizzativo, quanto a livello microscopico, quindi a livello della nostra scuola e delle singole classi ed equipe docenti.
La prima cosa che mi viene in mente a proposito di questo argomento è che anche questa volta si è persa l'occasione per mettere i bambini al centro della propria esperienza di apprendimento... la scuola è chiusa e non si può dare corso all'attività didattica tradizionale... avrebbe potuto essere una occasione per fare leva sulle risorse dei bambini, soprattutto i bambini della primaria, affinchè le proprie case, il proprio tempo vuoto potessero diventare lo stimolo per piccole esperienze empiriche di apprendimento attraverso momenti di vita quotidiana... Si sarebbe potuta cogliere l'occasione per sperimentare modi di integrare la didattica tradizionale. I docenti avrebbero potuto fare ragionare i bambini su come tradurre le proprie esperienze quotidiane in termini matematici, piuttosto che scientifici, storici o concettuali e radicare l'apprendimento nel fare pratico e concreto... i bambini avrebbero potuto assaggiare come tutto ciò che imparano serve perchè rappresenta l'impalcatura della nostra esperienza di relazione con il mondo e avrebbero trovato gusto nell'importanza dell'imparare le cose. E invece no, si è ovviamente replicato in toto il modello, evidentemente perdente, della didattica “a riempimento” dove il bambino è un vuoto da colmare con nozioni.
E allora la scuola, all'assenza dalle classi in presenza, ha reagito proponendo i compiti. E lo ha fatto in modo spesso caotico e frammentario. I compiti hanno iniziato ad arrivare con what's up, e noi genitori ci siamo ritrovati, sommersi di centinaia di messaggi, a trascorrere tutto il pomeriggio attaccati al telefono per cercare di trovare cosa si doveva far fare al proprio figlio e con l'ansia di perdere pezzi.
I compiti e i materiali di studio fatti a distanza sono “freddi”, sono avulsi dal contatto con la maestra, dal racconto che la maestra fa dell'argomento, dalla dinamica che si sviluppa in classe per costruire l'apprendimento, quindi è un metodo ancora più freddo e vuoto della didattica tradizionale. Inoltre, almeno nei primi due mesi, ogni maestra sembrava si muovesse in autonomia, senza consultarsi con le colleghe per capire che carichi di lavoro stessero imponendo, se ci fossero argomenti che potessero integrarsi, se si utilizzavano gli stessi strumenti di comunicazione e di lavoro con le famiglie. Il risultato è che i bambini hanno vissuto e vivono i compiti e l'attività scolastica come puro dovere, impegno che non vedono l'ora di togliersi dai piedi. Dal loro punto di vista è tempo perso, sottratto alle attività libere e al gioco.
Come genitore, provo irritazione dal fatto che per almeno due mesi buona parte delle informazioni dalle maestre siano arrivate via wup, che mi è toccato avere continuamente il telefono in mano per guardare che compiti ci fossero da fare e che in questo modo ho sdoganato anche con le mie figlie l'idea che il telefono (che magicamente in casa nostra agli occhi delle bimbe era ancora principalmente un mezzo per telefonare e al massimo fare foto) è onnipotente e che tutto può risolversi attraverso quel mezzo.
Purtroppo devo anche dire che la didattica a distanza fa emergere agli occhi di noi genitori le differenti dotazioni didattico-pedagogiche dei docenti. Non di rado mi sono imbattuta in materiali e attività miseri che davano l'idea che chi li ha pensati non avesse alcuna aspettativa di capacità, creatività e competenza da parte dei bambini, e tutte le volte che entro a contatto con queste attività povere, banali e sminuenti per i bambini, mi viene una grande rabbia, e la mia traballante fiducia nella scuola pubblica e universale (alla quale vorrei non smettere mai di credere) viene picconata.
Al di là di tutte queste considerazioni nate dall'esperienza personale di genitore, vorrei esprimere alcune idee generali su ciò che sta accadendo:
la didattica a distanza, la scuola da casa, diventa un rilevatore di “fragilità” e funziona secondo una legge darwiniana per cui il più debole resta indietro. Le fragilità emergono perché nel momento in cui la scuola deve fare leva sulla famiglia per lo svolgersi del percorso didattico, tutte le difficoltà che possono essere presenti in un nucleo famigliare, come povertà economica e culturale, dinamiche relazionali patologiche, fragilità genitoriale ecc., ostacolano la partecipazione del bambino all'esperienza didattica. Il rischio grande è che più la situazione famigliare è fragile, più il bambino rischia di trovarsi solo nell'affrontare l'esperienza scolastica, magari senza i mezzi necessari, e di essere marginalizzato. In sostanza la scuola a distanza rischia fortemente di essere classista ed esclusiva;
- nella didattica a distanza esce completamente dall'orizzonte del percorso di apprendimento l'“ambiente” come strumento stesso di apprendimento, fonte di stimolo per sollecitare apprendimento spontaneo e quindi intenzionalmente progettato a questo obiettivo. Peccato che l'apprendimento spontaneo sia quello che si radica più solidamente e che per definizione viene integrato nelle strategie di adattamento all'ambiente diventando quindi apprendimento operativo.
- Il problema della progettazione di una ripresa in sicurezza può e deve diventare una occasione per ripensare all'organizzazione alla qualità e agli obiettivi del tempo scuola, tenendo conto di tutte le risorse che possono essere coinvolte ed utilizzate, a partire dalle RISORSE DEI BAMBINI STESSI. Dobbiamo tenere conto che:
- abbiamo BAMBINI COMPETENTI, che hanno bisogno di sentire la fiducia del mondo adulto nella loro capacità di apprendere e di cavarsela, bambini curiosi che hanno voglia si scoprire il mondo e hanno voglia di partecipare al mondo e sentire che hanno un posto nel mondo: possiamo proporre esperienze di libero apprendimento esperienziale che possano poi essere ricondotte alle esigenze curriculari? Possiamo responsabilizzare i bambini rispetto alla propria esperienza di apprendimento e rispetto al loro rapporto con scuola, compagni e docenti? Si potrebbe pensare a didattica in piccoli gruppi dove in ogni gruppo ciascun bambino ricopre un ruolo e tra i ruoli prevedere anche la sicurezza?
- abbiamo scuole dotate di SPAZI AMPI: classi, ma anche spazi comuni e soprattutto giardini: possiamo pensare di uscire dalla dimensione della classe per sperimentare uno spazio classe diffuso nell'edificio scolastico? Questo consentirebbe di distanziare i bambini;
- viviamo in un paese a misura d'uomo: possiamo pensare ad una nuova scuola che organizzata in aule didattiche diffuse dove entrano a fare parte dell'”edificio scolastico”, la biblioteca, la ludoteca, la fonoteca, la chiesa, la sala consigliare, la palestra, ma anche la piazza Liberazione, il parco della Pace, le piste ciclabili, il parco di educazione stradale... tutti luoghi non più vissuti come “uscite” ma come luoghi di apprendimento, quindi scolastici, e quindi fruiti ed utilizzati per l'attività ordinaria;
- e in questa prospettiva ai docenti curriculari si aggiungerebbero altri maestri rappresentanti della scuola diffusa, come il bibliotecario, l'assessore, il prete, l'impiegato comunale, il gestore di un banco al mercato, il fornaio, il farmacista, il dottore, i nonni della clessidra, i volontari della consulta, gli scout... ragazzi abbiamo una ricchezza tra le mani!
Potrebbe essere l'occasione di riportare la scuola al centro della vita del paese, ma soprattutto al centro del presente e del futuro del paese.
Ovviamente la prima obiezione ad un modello di scuola destrtutturata è che “servono le assicurazioni” che i luoghi non scolastici non sono assicurati, che i bambini devono avere le autorizzazioni dai genitori e le assicurazioni ecc. Ma davvero la forma deve e può sempre ostacolare la sostanza? Non è forse arrivato il momento che come comunità nonantolana ci diciamo che i bambini sono la nostra ricchezza e che la loro educazione e formazione deve essere centrale nelle nostre politiche? Davvero non si può fare uno sforzo come intera comunità nonatolana per iniziare a sperimentare, iniziando con piccoli passi?
La didattica a distanza mi è piaciuta però preferivo andare a scuola.
Per me è stato facile entrare a lezione e ascoltare le lezioni, invece è stato difficile studiare e fare i compiti perché se non capisci bene la spiegazione non puoi andare da nessun tuo amico a chiedere.
Una cosa che mi piace della didattica a distanza è che non c'è rumore e l'insegnante riesce a spiegare bene, però bisogna affiancarla ad andare a scuola perché se no a noi ci manca qualcosa di sociale.
La cosa più importante è la salute secondo me, perché se adesso facciamo cosi le lezioni dopo si potrà tornare a socializzare e saremo più contenti di prima.
Sono settimane che mi chiedono di parlare della didattica a distanza, la fantomatica DAD.
Ho svicolato, ho negato... ma eccomi qua.
Io però non mi sento di dare un giudizio, non mi sento di parlare del suo valore o disvalore. Vorrei parlare piuttosto delle emozioni che suscita la DAD.
Mi piacerebbe condividere lo stupore della prima volta che ho visto tutte le faccette insieme in 30 cm X 20, l’ansia di dover spiegare quel concetto nuovo e di registrare una lezione. Da quella i tuoi alunni dovranno imparare, capire e speri che il concetto arrivi a loro.
Per 4 minuti di video, dietro ci stanno almeno tre tentativi falliti, e poi comunque non va bene, però siccome ci vogliono almeno un paio d'ore a salvare il video in drive, un'altra ad inviarlo WhatsApp: ok me lo faccio andare bene!
Come spiegare a qualcuno che non lo sa, cosa significa vedere attraverso il monitor degli occhi spauriti, che appartengono a quel tuo alunno che sai che non ha capito cosa gli stai chiedendo, davanti a tutti, ai quali non scappa una singola parola, davanti alle mamme o ai papà assiepati dietro ai monitor? Cerchi di inventare una battuta, suggerirgli una risposta ma non saprai mai cosa gli passa nella testa.
L'altro giorno mentre cercavo dei video significativi sulla metamorfosi della rana, ne ho trovato uno dove si vedeva una classe, con i banchi, i bimbi, gli astucci e il magone mi ha sopraffatto... L'età non aiuta.
Certo è che ogni notte ho un incubo diverso: la dirigente che mi da una multadi 35 euro perchè chiaccheravo, la mia collega che mi chiama e dice: “Rossella, ma i tuoi video sono troppo semplici, non vanno bene..!” E mi sveglio col panico, poi mi guardo intorno e mi dico: “Ok, è solo un incubo!”, ma capisco che qualcosa non va proprio.
Poi mi arriva via WhatsApp un disegno, dove siamo rappresentati io e lei, una mia alunna che mi da la mano. Sono io: ricci neri e collana lunga. Oppure una domenica pomeriggio mi chiama un'altra alunna e chiede. “Facciamo due chiacchiere?” Ancora una sera alle 22 in un messaggio un'altra scrive: “Rossella per favore, ho creato un power point da sola per la prima volta, lo guardi? Mi dici com’è?” e dopo dieci minuti mi chiede se l'ho visto e quindi eccomi a guardarlo, nonostante il disappunto dei miei familiari, perché ho interrotto per tutti la visione di un film... Ma come potevo risponderle di no?!
Potrei proseguire all'infinito!
Il nostro è un mestiere di relazione, vera e sincera, incompatibile con la lontananza dei corpi. Non oso immaginare quando ci ritroveremo finalmente a scuola, li troverò cresciuti, contenti, impauriti, timidi... ma sarà una grande gioia e festa e forse faticherò a trattenere le lacrime...
È stato molto interessante leggere le riflessioni di genitori, studenti e insegnanti sulle loro nuove esperienze forzate nell'apprendimento "on-line" o su ciò che è considerato oggi l'apprendimento "a distanza". Ho trovato molti pensieri condivisi sull'uso degli strumenti digitali in classe, ma ho anche scoperto che aspetti importanti e strumenti utili per l’e-learning non sono stati sollevati o esplorati. Questa è la ragione per cui desidero dare il mio contributo. Innanzitutto, vorrei chiarire (e spero che non vi impedisca di leggere) che: non ho mai insegnato in una scuola italiana, non mandiamo i nostri figli a scuola e quindi quello che devo dire sull'e-learning non deriva dall'attuale crisi.
Le mie esperienze di e-learning o di apprendimento a distanza sono iniziate come insegnante molto prima che fosse disponibile una piattaforma di videoconferenza affidabile: i Google Documents erano stati appena inventati (molte persone avevano ancora account hotmail) e YouTube aveva da poco iniziato ad allargare la sua attività. Per molti insegnanti l'uso della tecnologia in classe significava preparare una presentazione in PowerPoint e mandare i compiti per e-mail, non molto più di questo. Non c'era nessuna pandemia che mi costringesse ad adottare una tecnologia che non mi interessava. Ero un giovane ed entusiasta insegnante di liceo di chimica in Israele tra gli anni 2007-2010 che aveva (e ha ancora) una fascinazione per l'uso della tecnologia digitale per risolvere problemi di classe e persino migliorare gli ambienti di apprendimento.
Quindi per prima cosa vorrei evidenziare i problemi che sentivo di dover affrontare e i modi in cui ho cercato di utilizzare la tecnologia digitale (alcuni dei quali possono essere considerati apprendimento a "distanza"). Posso immaginare che molti di questi problemi siano presenti anche nelle scuole italiane.
- Avevo classi molto grandi di un massimo di 40 studenti - questo ha comportato differenze naturali negli stili di apprendimento e nello sviluppo delle competenze. Ho dovuto provare a personalizzare le lezioni che avrebbero attratto tutti, affrontare molteplici livelli di comprensione.
- Le mie lezioni duravano 45 minuti ed erano solo una piccola parte di una giornata di 6 o 7 ore per i miei allievi. Qualcuno può davvero concentrarsi per questo periodo di tempo, su richiesta? (So che alcuni bambini ricevono farmaci per farlo!). Cosa succede se gli alunni hanno appena finito una lezione di sport (o hanno appena finito un esame)? Ora, devo provare a insegnare loro un concetto difficile e astratto sulla struttura dell'atomo, come faccio? La tecnologia digitale non può aiutarmi?
- Avrei dovuto assegnare i compiti e controllarli (la scuola mi chiedeva di avere un registro e di dare i voti di conseguenza) - questo richiedeva una gross fetta del tempo disponibile per la lezione. I bambini erano tesi perché sapevano che dovevo controllare se facevano i compiti a caso e # cercavano di copiare le risposte mentre chiedevo ad altri alunni della classe. Mi sono sentito orribile, mi è sembrato uno spreco di tempo totale, il controllo dei compiti era superficiale e il controllo dei compiti si è trasformato da uno strumento di apprendimento in un gioco stressante e intimidatorio di "beccami in flagrante se puoi".
- Le disposizioni tradizionali in classe (spazio fisico e vincoli temporali) mi impedivano di fare qualcosa di creativo con le mie lezioni. Potevo forse usare la tecnologia per ampliare la capacità di insegnamento?
- Tutto quanto sopra mi ha dato sempre meno tempo nei laboratori di chimica - il luogo in cui penso che avvenga la parte migliore dell'apprendimento delle scienze: esperienze pratiche.
All'inizio degli anni 2000 e quando ero un giovvane insegnante, c'era una nuova ondata di idee educative per affrontare molti dei problemi di cui sopra. Queste idee provenivano principalmente dagli Stati Uniti. Vorrei condividerne uno in particolare che può essere utile nella crisi pandemica e quindi evidenziare le tecnologie che possono essere coinvolte per renderlo applicabile.
"L'aula capovolta": l'idea era di alternare la nozione classica di insegnamento in classe e compiti a casa. Nel formato tradizionale: un insegnante usa la lezione "frontale" (dove parla alla classe a scuola) per introdurre "nuovi" concetti e "nuova" materia. A casa, allo studente viene chiesto di applicare le "nuove" conoscenze per risolvere una serie di problemi o rispondere a domande .. questo è invece il momento in cui uno studente ha maggiormente bisogno dell'aiuto dell'insegnante!
In una classe capovolta i ruoli cambiano: a casa lo studente è tenuto a seguire una serie di lezioni o clip online (qui arriva l'uso di YouTube e di altre piattaforme), oppure gli viene chiesto di leggere un capitolo in un libro da solo (quando è più concentrato e comodo). In classe, la lezione "frontale" diventa un seminario in cui gli alunni lavorano alla risoluzione di problemi legati al materiale affrontato e l'insegnante discute e si aggira tra di loro. Meglio ancora, questo consente di introdurre progetti creativi. Gli alunni possono iniziare a lavorare in classe su un progetto creativo e poi continuare a casa. La classe capovolta può risolvere molti dei problemi che ho menzionato sopra. Così si incoraggiano anche gli studenti ad assumersi la responsabilità del proprio apprendimento e ad affrontare "nuovi" concetti da soli. Soprattutto, si massimizza l'interazione diretta tra insegnante e studente quando la "lezione" viene esclusa dalla lezione. Quella, gli studenti possono affrontarla a casa.
Allo stesso tempo, il MIT ha realizzato un progetto straordinario: corsi universitari selezionati sono stati registrati e messi on-line gratuitamente. Quante volte ho rinfrescato la mia fisica e chimica usando queste lezioni su YouTube! Mi sono totalmente ispirato a fare lo stesso.
Quindi quali sono gli strumenti che potrebbero essere utilizzati per massimizzare le esperienze di apprendimento? Ecco un elenco parziale con i vantaggi e i suggerimenti da utilizzare come strumenti di apprendimento a distanza nel tempo di una pandemia:
- YouTube: non c'è niente di meglio che avere una buona raccolta di spiegazioni ben eseguite di vari argomenti. Come insegnante, preparandole da casa puoi usare videoclip, animazioni, schizzi e, soprattutto, nessuna interruzione da parte degli studenti ☺. Gli studenti possono ascoltare più volte, quando vogliono e quando si sentono pronti. Questo è uno strumento di base per l'apprendimento "a distanza". Ho ancora studenti israeliani che guardano i miei video più di 10 anni dopo aver lasciato la professione! Sì, ho avuto un grande picco di visioni dei miei video su YouTube durante l’emergenza coronavirus.
- Blog: per un insegnante questa è un'altra forma di comunicazione e un modo per introdurre nuovi materiali: potrebbe non essere efficace come una buona clip breve ma ha molta più flessibilità per approfondire le discussioni. Parlerò del blog degli studenti nella prossima sezione Wiki.
- Piattaforme Wiki: tutti conoscete Wikipedia, l'enciclopedia online scritta dalla sua comunità di utenti. Puoi scaricare e installare il tuo sito Web Wiki. Wiki è una piattaforma fantastica per creare una vera discussione online. Agli studenti vengono fornite le credenziali per contribuire alla piattaforma Wiki (hai notato che su ogni pagina Wiki c'è una scheda di discussione, dove le persone possono commentare e discutere il contenuto della pagina effettiva?).
Ad esempio, un insegnante può iniziare una wikipage sul coronavirus a Nonantola e invitare gli studenti a contribuire (o addirittura delegare gli studenti a scrivere su argomenti specifici) come: che cos'è il virus (lo sfondo biologico), come sta influenzando Nonantola? Quali sono le linee guida del comportamento e perché? e così via. I partecipanti sono gli alunni e l'apprendimento avviene nel loro tempo durante il giorno. Possono utilizzare una vasta gamma di materiali di apprendimento online e, al giorno d'oggi, persino consultarsi tramite chat, e-mail o videochiamata, direttamente con il loro insegnante. L'insegnante può adattare e correggere la pagina della wiki, lasciare commenti e aprire una discussione. L'insegnante può vedere ciò che ogni studente ha contribuito alla discussione in una classe più grande, quindi non è solo un apprendimento individuale ma anche come interagire con altri studenti e le loro idee. A differenza di una videoconferenza, è facile vedere chi contribuisce al contenuto del Wiki e, se sono necessari voti per la partecipazione e la qualità, un insegnante può valutare le prestazioni e il contributo di ciascun alunno. A differenza di un documento google / word, l'aspetto della pagina Wiki è più invitante per contribuire. Richiede solo all'insegnante e agli alunni di capire che l'apprendimento avviene in modo diverso. - Moduli Google: i moduli Google consentono di creare un questionario che può essere utilizzato per raccogliere informazioni dagli studenti, come sondaggio d'opinione o anche come breve quiz. Le risposte vengono inviate come foglio di calcolo Excell e un insegnante può eseguire e condividere statistiche in una frazione di secondo. Un insegnante può persino creare un sistema di controllo automatico e inviare feedback in brevissimo tempo, cosa che non puoi fare in una classe "tradizionale".
Quindi questi sono solo alcuni strumenti disponibili e rimane una domanda ... Come ha funzionato nella tua scuola? Bene, la risposta è complessa e spero che questo possa sollevare un dibattito molto più approfondito su come l'educazione e l'apprendimento sono valutati in generale:
Ho avuto successi contrastanti: "capovolgere" la classe ha funzionato solo parzialmente. I video delle lezioni che ho caricato su YouTube sono stati ampiamente utilizzati e apprezzati soprattutto dagli studenti (anche se ha richiesto molto lavoro, realizzare video di qualità e spiegazioni chiare). Di conseguenza, ho potuto liberare più tempo in classe per lavorare sulla risoluzione dei problemi, discussioni e giocare con un apprendimento basato su progetti. Tuttavia, molti studenti e genitori mi hanno accusato di aver dato troppa responsabilità al loro apprendimento da casa. Secondo loro avrei invece dovuto spiegare più e più volte i concetti che "non hanno capito". In sostanza, sono stato incolpato per non aver insegnato.
Nel caso dell'attuale pandemia - YouTube (o altre piattaforme di caricamento video) e la creazione di contenuti di qualità da parte degli insegnanti è la prima cosa da fare e potrebbe ridurre i tempi di conferenza inutili.
Resta ancora la parte significativa: il contatto diretto con lo studente - questo, se pianificato correttamente, può essere fatto tramite chat, e-mail e brevi conversazioni di videoconferenza su base individuale, durante il giorno per l'intera settimana - fino al prossimo traguardo. A volte è molto meglio che passare 45 interi minuti in una grande classe quando non comunichi davvero con nessuno: fronteggi sullo schermo un branco di alunni. Forse, la qualità della connessione potrebbe anche essere maggiore, anche se non faccia a faccia. Solleva il telefono: chiedi agli studenti (qualcuno diverso ogni giorno) come stanno, come è stato il video e se hanno qualche domanda. Scrivi un'email personale, guarda come reagiscono. Non metterli davanti a una schermata della teleconferenza per ascoltarti mentre fai le stesse cose che hai fatto prima della crisi. Ovviamente per l'insegnante di scienze in cui il laboratorio dovrebbe essere un luogo importante di apprendimento è più problematico, ma non c'è motivo di non tornare alla chimica in cucina: lascia che il tuo studente registri un esperimento in cucina e lo spieghi ai suoi compagni di classe.
Quando si è trattato di apprendimento basato su progetti e utilizzo della piattaforma Wiki, ho avuto reazioni molto peggiori. In un certo senso, penso che il sistema scolastico non sia proprio costruito per questo o, nella migliore delle ipotesi, non sia pronto. Per pochissimi studenti questa è stata un'opportunità per prosperare ed essere più creativi. I miei studenti volevano compiti chiari: rispondere a domande semplici, e non fare ricerche e scrivere su un argomento che non conoscevano ancora. Agli insegnanti non è piaciuto perché era troppo diverso da una lezione normale. I genitori hanno detto che era troppo lavoro per i loro figli e hanno commentato che non li preparava per gli esami nazionali. Non è vero, potrebbe aver insegnato loro qualcosa di molto più importante che incamerare nozioni per superare un esame.
Ho smesso di insistere sull'apprendimento basato su progetti o sull'uso della piattaforma Wiki prima della fine dell'anno. Col senno di poi, penso che avrei potuto tentare di più per farlo funzionare e "educare" i miei studenti e i loro genitori che, a lungo termine, questa è un'esperienza di apprendimento molto più ricca di quella a cui erano abituati prima. Penso che noi (insegnanti e genitori) siamo ancora troppo fissi sugli stili di insegnamento classici e la brama di misurare ogni passo non consente a insegnanti e studenti di esplorare esperienze di apprendimento alternative. Come puoi valutare il contributo di uno studente a una pagina Wiki? Cosa fai con quelli che hanno contribuito di meno? Se dai un progetto (ad esempio, una volta ho sostituito una prova scritta con la creazione di un video di cinque minuti su un problema scientifico), come lo "valuti" in modo che possa essere confrontato tra le classi? La sintesi dei voti non si tradurrà in un grafico a forma di campana normalizzato che soddisfa l'ispettore regionale. Certo che no, proprio come le abilità di apprendimento non sono distribuite su tutta la popolazione in una normale curva a campana.
Quello che ho percepito è che nessuno voleva davvero cambiare lo status quo riguardo all'insegnamento e all'apprendimento. Un insegnante doveva rimanere un docente che controlla i compiti e scrive gli esami. Agli studenti viene dato materiale da digerire e si aspettano di fare il minimo che possono per soddisfare i requisiti nazionali. Sviluppare interessi e apprendimento indipendente? Non è proprio questo il caso: la scuola non era pensata per questo.
Cambiare il modo in cui impariamo a scuola è ciò di cui bisogna davvero discutere, la pandemia è solo un'opportunità per rimescolare tutto, provare alcuni strumenti digitali e sperimentare nuovi approcci. Come temevo, questo non è realmente accaduto e in effetti la didattica a distanza si è rivelata una cartina tornasole per evidenziare i problemi di un ambiente di apprendimento pieno di nodi irrisolti. Gli insegnanti avrebbero dovuto avere tempo, incoraggiamento e risorse per allenarsi ed essere esposti a nuovi approcci didattici prima dell'inizio della pandemia. Una discussione su come creiamo studenti indipendenti e sicuri avrebbe dovuto cominciare molto prima. Tuttavia, sono ottimista sul fatto che questa crisi e il modo in cui può portare insegnanti e studenti a vedere le contraddizioni già esistenti cambieranno le opinioni di molte persone, che potrebbero prendere in considerazione la possibilità di cambiare l'approccio adottato nell'istruzione pubblica.
Buongiorno sono Adelina, educatrice. Dopo momenti di chiusura, dopo timidi tentativi di riapertura ora sempre più ampie, dopo mesi di lavoro da casa, di riflessioni, di ma e di se, ho pensato di riportare con emozione una riflessione sul lavoro di educatrice. Potendo scegliere ho rispolverato da marzo a giugno, per un progetto di avvicinamento con le famiglie, le emozioni della vecchia radio. Ho chiesto aiuto solo alla mia voce, per far in modo di giungere alle corde emotive dei bambini e dei genitori. Musica, canzoni, fiabe e percorsi di formazione. L'emergenza ha costretto molti miei colleghi/e a realizzare una didattica a distanza. La tecnologia ha permesso di coprire una distanza, di offrire e di ricevere contatti necessari da ambedue le parti. Un mio vecchio professore mi disse più di trent'anni fa: "una classe vuota, priva di significato l'insegnante, l'educare". Non poter sentire il respiro il clima che solo il mondo di una scuola può dare è stato faticosissimo e doloroso. Di quel respiro un insegnante ne ha bisogno per esistere come tale e mi auguro tanto, di esserne al più presto travolta di nuovo.
Grazie per l'attenzione, buon lavoro e un cordiale saluto da Adelina.
Un virus che è seicento volte più piccolo del diametro di un capello si è abbattuto su tutta l’umanità. La scienza è disarmata, ricerca, prova, ma ancora il buio è tanto; le grandi centrali economico-finanziarie, il cui verbo nessuno osa contrastare, nulla hanno potuto; le nazioni, quelle più potenti, proprio loro sono i più grandi impotenti. Qualcuno aveva già parlato dell’impotenza del potere! Insomma, il Covid non ha risparmiato nessuno: borse e mercati, il mondo del lavoro, i rapporti sociali, il diritto e la democrazia; purtroppo anche sulla scuola si è fatto pesantemente sentire. La pandemia ha disvelato tutta la miseria di questo nostro mondo globalizzato. Una risposta che si limitasse ad aspettare che gli scienziati trovino un vaccino e a distribuire risorse a pioggia, confidando nelle famose vecchie virtù del mercato, sarebbe una strada senza uscita. Bisogna piuttosto essere in grado di finalizzare le grandi risorse monetarie che l’Europa è riuscita a stanziare per aggredire quelle storture della nostra società che hanno consentito al virus di creare questa ecatombe. Innanzitutto per rafforzare la sanità e le sue strutture sui territori; per creare lavoro, un lavoro indispensabile alla vita umana, un lavoro a difesa della Terra, dei mari, dell’aria, dei fiumi, delle montagne. Bisogna subito investire nella scuola, certo sulla edilizia scolastica, bella, accogliente, sicura, antisismica, ma anche per arricchirla di occasioni formative, educative di crescita per ogni scolaro e allievo, per ogni insegnante e operatore scolastico, una scuola risorsa per i territori sui quali sorge. Poco si spende per la ricerca, troppo poco! Ancora, bisogna credere nell’investimento volto a creare comunità, capacità di stare insieme, di collaborare, una collaborazione che permetta a tutte le individualità di esprimersi e di incontrarsi. Se rispondiamo al Covid ridefinendo le priorità collettive, possiamo sperare di creare futuro e il nostro tribolio potrà diventare una sfida capace di motivare il nostro stare insieme per migliorare la vita di tutti su questo nostro pianeta .
Alle istituzioni, a tutte le istituzioni spetta un compito prioritario, quello di collaborare, di unire gli sforzi e le competenze; niente allontana di più i cittadini da esse del giochino dello scaricabarile e della tattica del cincischiare navigando a vista. Bisogna riconoscere le difficoltà, anche gli errori, perché anche da quelli si impara, bisogna dire la verità e ascoltare i cittadini per essere in grado di indicare gli obiettivi comuni e sollecitare l’impegno di tutti. Sapere usare le risorse finanziarie non basta, occorre risvegliare le capacità tipicamente umane: la capacità di giudizio, per distinguere il bene dal male, la socialità e la spinta di ognuno a realizzare il proprio essere, la creatività, l’intelligenza, la compassione.
A settembre riapriranno le scuole, la scommessa, secondo noi, è quella di pensare oltre la scuola di prima (pre-Covid), bisogna andare avanti, non guardare indietro; non tutto è da inventare, anzi. Certo occorre il coraggio di innovare, di sperimentare, non spericolatamente, ma cogliendo l’occasione della ripartenza per rinnovare la volontà di essere ancora di più la scuola di tutti: dei più fragili, ai quali non è arrivata la didattica a distanza, di coloro che vengono da lontano e non conoscono la lingua ma hanno mondi da regalarci, e anche dei più capaci che potranno coltivare i propri talenti e dare un contributo fresco e significativo alla comunità scolastica.
L’Amministrazione Comunale ha dato vita alla “Conferenza dei servizi territoriale”, che vede confrontarsi l’Assessore alla scuola, la Dirigente dei servizi del Comune, la Dirigente scolastica, i rappresentanti degli insegnanti di ogni plesso e i rappresentanti dei genitori nel Consiglio di Istituto. Questo è bene, c’è bisogno che gli sforzi di tutte le istituzioni e di tutte le componenti del mondo scolastico convergano nell’obiettivo, per niente facile, di riaprire la scuola, una buona scuola nel massimo della sicurezza sanitaria possibile. Il compito di questa Conferenza è quello di tradurre a livello nonantolano i contenuti delle normative giunte dal Ministero. In questa direzione ha già svolto un buon lavoro, certo ancora alcune risposte mancano, normale quando ciò che si deve affrontare è una emergenza senza uguali! Auspichiamo che questo strumento di lavoro possa approfondire la conoscenza reciproca, in un dibattito franco e disinteressato, che possa approfondire le criticità e portare alla definizione di una strategia concreta aperta alle verifiche. In questo percorso i genitori possono assumere un ruolo di straordinaria importanza; tutti, ma in particolare i rappresentanti di sezione o di classe: porre attenzione ad ogni famiglia, cogliendo le difficoltà e le potenzialità, favorendo il collegamento con la scuola e con gli uffici preposti, diffondendo sentimenti e comportamenti di collaborazione attenta e dialogante. A settembre anche Nonantola si riprenderà a fare scuola e a parlarne. Sarebbe bello e utile che ogni nonantolano ritenesse la ripartenza della scuola anche un proprio personale obiettivo: mettiamo la scuola al centro dell’impegno della nostra comunità.
E SE DOVESSIMO TORNARE, ANCHE PER SINGOLE CLASSI, ALLA DIDATTICA A DISTANZA?
Siamo ormai a fine agosto, dopo un’estate trascorsa a fianco del virus che tanto ha cambiato il nostro modo di vivere le situazioni, che tanti interrogativi ci ha portato e ci continua a portare.
In questo periodo tra gli argomenti più in discussione c’è senza dubbio la scuola, sulla quale in tanti si esprime un parere, una perplessità, una paura, una proposta…in tanti , esperti e persone comuni, a segno che alla scuola, in fondo, ci teniamo tanto! Ed è molto positivo.
Mi intrometto anche io, con estrema umiltà, nella discussione, ferme restando la mia totale fiducia nella scuola e nelle istituzioni, che ci tengo a precisare in modo esplicito, e la fatica di tutti, insegnanti, genitori, ragazzi, amministrazione, nel far fronte ad una così nuova e inaspettata emergenza.
Io appartengo a quella parte di persone che auspicano e credono che la scuola riaprirà, che ce la farà, che la sicurezza e la salute siano importantissime ma non gli unici criteri per fare una scuola di qualità.
Appartengo a chi non è particolarmente preoccupato per i propri figli, ne per i figli dei parenti e degli amici, certa che bravi insegnanti, adeguata strumentazione tecnologica, contesto socio culturale e familiare di supporto, permetteranno ai nostri ragazzi di affrontare questo nuovo anno, comunque vada!
Però mi piace guardare “oltre il mio naso”, mi pongo alcune domande, “ E se non andasse come immagino?”
“E se ci trovassimo nuovamente a dover affrontare una situazione che poi emergenza non sarebbe più?”
”Non sarebbe forse opportuno fermarsi un attimo in questo periodo e mettere sul tavolo tutte le carte ed opzioni?”
Adesso, non dopo, quando presi dall’emergenza si fa tutti come si può.
Il lavoro e gli sforzi profusi per garantire una riapertura in totale sicurezza sono, a mio avviso, essenziali ed ammirevoli. Ma se poi si dovesse, ahimè, tornare a chiudere? Ci facciamo trovare nuovamente impreparati?
Potrebbe essere questo della ripartenza un buon momento per fare i conti e verificare ciò che è stato. Per garantire agli insegnanti un’adeguata formazione per portare avanti una didattica a distanza che si migliora, che tiene conto di ritmi e modalità differenti da una didattica in presenza.
Potrebbe essere un’occasione per la scuola e la comunità tutta per fare “una ricognizione” delle varie situazioni di fragilità presenti in ogni classe.
E’, a mio avviso, importante poter dotare tutti gli studenti di computer, linea internet, per partecipare alla didattica a distanza.
Ma è davvero sufficiente ciò? Secondo me no. Perché ogni mamma ed ogni papà sa la difficoltà incontrata negli scorsi mesi per seguire e supportare i figli nella scuola. Forse, mi viene da pensare, non tutte le famiglie hanno le risorse per poter far ciò. Difficoltà linguistiche, difficoltà socio-culturali, difficoltà di salute, difficoltà economiche (situazioni in cui tutti potremmo trovarci), credo, possano rendere difficilissima se non impossibile la partecipazione ad una DAD .
E allora adesso e non dopo sarebbe forse utile far insieme, scuola e comunità; formarsi insieme su come affrontare determinate situazioni, che prima però andrebbero ben conosciute.
Sarebbe una ricchezza enorme, credo, creare gruppi di genitori (poco numerosi) che si supportano in questa esperienza, che insieme provano a non escludere nessuno dal diritto all’istruzione.
Sarebbe altresì importante creare percorsi semplici ed individualizzati per ragazzi in situazioni difficili, in modo da rendere fruibile a tutti la scuola.
Si potrebbe pensare ad una didattica a distanza meno curriculare e più proiettata a e-learning, lanciando problemi da risolvere a gruppi.
Si potrebbero condividere tante idee ed opportunità, tutti insieme, per rendere una situazione di emergenza un momento di crescita comunitaria, in cui si creano legami e modi di lavorare e stare insieme differenti.
Io credo che si possa, credo che si debba, che non si possa più attendere.
A quale titolo intervengo nel dibatto sulla scuola avviato da “Una mano per Nonantola”? Attraverso l’associazione “Giunchiglia-11”, insegno italiano alla scuola “Frisoun” di piazza Liberazione. Due sono le differenze principali tra le scuole statali di Nonantola e la scuola comunale in cui insegno. Nella mia scuola non c’è obbligo di frequenza e la composizione anagrafica e geografica dei miei studenti è tra le più eterogenee immaginabili. Lo scorso anno abbiamo avuto 135 iscritti di cui 13 in età da scuola media e superiore, e 18 bambini (da 1 a 6 anni, figli delle nostre giovani mamme). 28 i paesi di provenienza. La più anziana, una signora nigeriana di 64 anni, la più giovane, una bimba eritrea nata nell’aprile dello scorso anno. Tolte queste differenze, per la riapertura del prossimo anno scolastico, vivremo, sebbene su scala ridotta, problemi simili a quelli che vivranno le altre scuole del territorio.
Gli amici che lavorano a scuola ogni anno mi raccontano l’odissea per ripartire: assegnazione delle scuole ai precari (o dei precari alle scuole), orario settimanale, sostituzioni, piani dell’offerta formativa… Un gioco di incastri che ha sempre bisogno di qualche settimana per consentire alle scuole di andare a regime.
Quest’anno le variabili in ballo sono così tante che il gioco di incastri si fa complicatissimo. Qualcuno pensa impossibile. Ne elenco alcune, le prime che mi vengono in mente: i casi di contagio nelle classi (le linee guida si sono già espresse in proposito, ma immaginiamo tutte le casistiche che possono entrare in campo); la gestione delle malattie degli insegnanti e gli esoneri di insegnanti e personale scolastico per condizioni di salute incompatibili con la pandemia; le supplenze; l’uso in comune di una parte della strumentazione; gli orari delle lezioni; il prolungamento orario e il prescuola; le sanificazioni; i mezzi pubblici; il traffico sulle strade… e l’elenco potrebbe continuare.
Per non parlare dei nodi “giuridici”. Se, come mi pare, l’emergenza sanitaria è in vigore fino alla metà di ottobre, i genitori che si rifiutano di portare i figli a scuola saranno perseguibili di evasione dell’obbligo scolastico? Se ne hanno diritto, come verranno conteggiate le assenze? E anche terminata l’emergenza sanitaria le famiglie potranno farsi esonerare dall’obbligo perché magari in casa vive un anziano o un soggetto fragile? La lettera di corresponsabilità educativa che la scuola chiederà ai genitori di firmare, sarà vincolante? Ovvero, se i genitori non firmeranno il figlio potrà frequentare le lezioni? E se non frequenterà le lezioni perché non ha firmato la lettera, i genitori, come sopra, saranno imputabili di evasione scolastica?
Casi estremi e posizioni estremistiche? Può darsi, ma assolutamente compatibili e anzi coerenti con le norme in vigore e con la situazione di “emergenza sanitaria” in cui ci troviamo. E comunque sarà necessario dialogare con tutti.
A queste intricatissime condizioni, sono due gli scenari che si aprono (ognuno valuti quale il più probabile). Una ripartenza in totale sicurezza, come qualcuno chiede o afferma, in cui la “sicurezza” però non può che essere formale, nella certezza se non nella recondita speranza che alla prima situazione critica tutto si torni a fermare. Oppure una ripartenza nella totale incertezza in cui l’unica la possibilità di incominciare e portare a termine un anno che sarà in ogni caso “amputato” (di ore di lezione, di parti del programma, di socializzazione, di metodi attivi, ecc.) sarà data dalla capacità di dialogare e di venirsi incontro (ovvero di solidarizzare nell’emergenza) di tutti i soggetti coinvolti: insegnanti, studenti, dirigenza e personale scolastici, genitori, sindacati, amministrazione.
Potrà sembrare poca cosa, ma quello che mi sembra più utile in questo momento è abbassare il livello di ansia da prestazione (che facilmente si trasforma in isteria) e mettere da parte atteggiamenti irrealistici e assolutistici. Cosa intendo per ansia da prestazione e atteggiamenti assolutistici? Qualche esempio. Trovo che durante il lockdown sia stato frutto di ansie da prestazione mandare messaggi, compiti e materiali didattici via WahtsApp a qualsiasi ora del giorno e della notte, contribuendo in alcuni casi a far saltare le fasi di veglia e di sonno ai ragazzini. Lo dico senza supponenza né in maniera giudicante visto che per alcuni giorni mi sono trovato anche io in questa disposizione d’animo e anche io ho compulsivamente cercato il contatto telematico con i miei studenti.
Trovo sia frutto di atteggiamenti assolutistici affermare che la scuola è pronta a riaprire in totale sicurezza, ma trovo altrettanto assolutistico pretendere che la scuola riparta in totale sicurezza o reclamare un’organizzazione e un tempo scuola identici a come erano prima dell’emergenza covid o ancora invocare una didattica sperimentale quasi che l’emergenza sanitaria, come una sorta di fuoco rigeneratore, potesse sanare tutto quello che sul piano pedagogico e didattico non funzionava anche prima della pandemia. Non abbiamo bisogno di eroi, né di geni, né di stacanovisti. Abbiamo solo bisogno di buon senso e spirito di solidarietà per uscire il meno acciaccati possibile da questa bufera.
Abbiamo imparato a conoscere il Covid-19, sappiamo che il veicolo attraverso cui si trasmette sono le goccioline di saliva che possono entrare direttamente nella bocca o nel naso di chi ci sta vicino, o depositarsi sulle superfici e da qui passare ad altre persone attraverso mani, occhi, naso, bocca. Abbiamo imparato a conoscerne la curva di diffusione. Abbiamo capito che i morti di oggi sono effetto del diffondersi degli asintomatici di mesi prima.
Nessuno che abbia un ruolo o una responsabilità pubblica lo dichiarerà esplicitamente, ma se la scuola riapre è solo perché in una certa misura è inevitabile data la sua funzione di recinto per i figli quando i genitori sono al lavoro. Detto meno cinicamente, ripartirà perché qualcuno pensa che alle condizioni attuali il gioco – l’istruzione dei giovani, il lavoro dei genitori, la tenuta dell’economia – valga la candela – il rischio, pur drammatico, che una piccola percentuale della popolazione si ammali e muoia. Quale sia la scelta giusta in termini assoluti, non è argomento di queste righe. Anche all’interno di “Una mano per Nonantola” non la pensiamo tutti allo stesso modo. Il fatto di avere opinioni diverse non solo non è un problema, ma è per certi versi inevitabile e forse perfino vitale: pensarla allo stesso modo di fronte a questioni così complesse, significa più probabilmente non pensare. E invece, i primi vaccini per questo virus sono la capacità di pensare con la propria testa e di cooperare.
Nei documenti ufficiali prodotti finora – le linee guida di giugno, il protocollo di inizio agosto, le ultime indicazioni dell’Istituto superiore di sanità – abbiamo colto che all’istituzione scolastica e alle amministrazioni locali viene demandato il compito di applicare, rimodulandole, le regole lì contenute, tenendo conto del contesto specifico in cui si colloca l’istituzione stessa. Come dire: il governo dà le indicazioni di massima, i territori hanno il diritto e la possibilità di tradurle entro certi margini sulla base dei bisogni, delle possibilità e delle criticità del proprio contesto.
È questo, al di là dei contenuti specifici, uno snodo essenziale, che i territori devono vivere come un’opportunità e non come una “rogna”. Volendo ipotizzare che le linee guida siano state pensate e scritte da chi ha cognizione reale dei problemi e da chi si sia assunto la responsabilità di legiferare per affrontarli nel modo migliore, uno dei rischi maggiori è che vengano applicate in maniera per così dire “assicurativa”, ovvero non per ottenere il massimo possibile (per la salute e l’educazione dei giovani), ma per mettersi al riparo da denunce. Atteggiamento pericolosissimo proprio perché nell’incertezza della situazione in cui ci troviamo non ci potranno mai essere linee guida così complete e ben scritte da garantire la salute dei bambini e insieme una loro efficace istruzione. Perché le cose siano fatte bene è necessario che ognuno si assuma la propria fetta di responsabilità e la sappia far dialogare con quella degli altri. Questo vale sempre, ma vale due volte nelle situazioni di crisi come quella in cui ci troviamo.
Per converso, affinché chi ha ruoli di responsabilità possa applicare le leggi in maniera intelligente e non “assicurativa” è necessario che genitori e studenti mettano da parte atteggiamenti recriminatori, lagnosi e di denuncia. È questa dinamica – denuncia versus blindatura giuridico-assicurativa – che ha determinato gran parte della crisi delle nostre istituzioni, non solo scolastiche. Pensate, per citare un ambito di cui molti di noi hanno esperienza diretta, a quello che è avvenuto in questi anni nel sistema sanitario…
Allora, per tornare al dibattito avviato da “Una mano per Nonantola”, cosa si potrebbe fare per contribuire alla ripartenza della scuola? Non ho ovviamente nessuna idea risolutiva, ma solo microscopiche suggestioni.
1. Se si conviene che la cosa più urgente è iniziare a costruire un clima di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, clima di collaborazione che in primavera, presi alla sprovvista dall’emergenza, non si è fatto in tempo a costruire, perché non provare a organizzare alcuni incontri, a inizio d'anno scolastico e da ripetersi durante l’anno, magari anche con il contributo di testimoni diretti (persone che hanno attraversato la malattia) per discutere insieme a studenti, genitori e insegnanti di cos'è il Covid-19, come si diffonde, come si argina, quale può essere il ruolo della comunità e come si potrebbe potenziare una medicina di territorio? Non solo allo scopo di informare ma soprattutto di avviare un confronto che ci faccia sentire affratellati nella bufera. A Nonantola abbiamo medici di base e giovani medici bravissimi, che si stanno interrogando da tempo su questi temi. Perché non coinvolgerli e sostenerli nell’organizzazione di incontri di questo tipo?
2. Collegato a questo, al di là della decisione che sarà presa a livello nazionale (ormai sta prendendo forma), non mi sembra irragionevole pensare di chiedere ai ragazzi e alle ragazze della secondaria inferiore l’uso della mascherina durante tutte le ore di lezione. È semmai un modo per trattarli alla pari, per coinvolgerli a pieno titolo nella gestione di questa situazione emergenziale. Certo è una scelta che va argomentata, condivisa, discussa insieme a loro. Sul piano fisico, salve disabilità specifiche, non mi sembra una richiesta esagerata; sul piano psicologico, si trasforma in una richiesta forzate e “violenta” solo nel caso consideriamo ragazzi e ragazze di 11, 12 13 anni, come esseri incapaci di comprendere i problemi della comunità e di farsene carico, con le dovute proporzioni, insieme agli adulti. Forse lo si potrebbe estendere anche alle elementari, con l'esclusione delle prime e delle seconde: a quell’età la fase di costituzione del gruppo-classe è molto delicata e anche una mascherina può effettivamente complicare l’operazione.
Detto questo, se l’uso delle mascherine evitasse anche un solo contagio forse ne sarebbe già valsa la pena…
3. Rispetto al "divario digitale", stanno continuando a uscire misure di sostegno economico per acquistare device e connessioni più efficaci, rivolte alle scuole o alle famiglie in difficoltà. Abbiamo visto in questi mesi che in alcuni casi queste misure (bonus spesa, bonus Inps, voucher per i centri estivi, Reddito di emergenza) non arrivano a buon fine. Perché non istituire, tra le associazioni, ma anche tra il personale dell’amministrazione, figure di mediazione che informino il territorio, traducano misure solitamente molto complicate e aiutino nell'invio (quasi sempre telematico) delle domande?
4. Perché non proporre di limitare al massimo l'uso di WhatsApp e di altri social (tutti, a parole, concordiamo sugli effetti negativi che questi strumenti hanno per la comunicazione, la cooperazione e il lavoro di gruppo e quanti fraintendimenti e incomprensioni creino) e privilegiare altri mezzi più formali e consoni ai fini culturali della scuola: oltre ovviamente alle piattaforme per le videolezioni, la posta elettronica? E comunque non in qualsiasi giorno della settimana e a qualsiasi ora del giorno e della notte.
5. E poi perché non aggiungere l’aggettivo “territoriale” (per riprendere la proposta di Grazia Stefanini e Maria Mastropietro) al “patto di corresponsabilità educativa”? Servizi pubblici, biblioteca, centro intercultura, aziende, imprese artigiane, parrocchia, associazioni sportive… ogni “pezzo” di Nonantola potrebbe iniziare a diventare “aula diffusa” da coinvolgere a integrazione dei programmi ministeriali, soprattutto in una fase in cui stare fuori dalle aule diminuisce il rischio del contagio
Chiudo su una mia fissa, l’unico ambito su cui mi senta realmente in grado di mettermi a disposizione per contribuire ad attraversare la bufera: i ragazzini stranieri e in particolare i neoarrivati. Non sottovaluto la difficoltà che crea, sia a livello di programmazione didattica che di gestione d’aula, l’arrivo in classe (in video è ancora più complicato) di studenti poco o per nulla alfabetizzati né lo sforzo di tanti insegnanti per coinvolgere questi “studenti difficili”. Ho collaborato in questi anni, anche durante il lockdown, con alcune e alcuni insegnanti delle medie molto competenti, in gamba e attenti.
Ma al di là delle singole e diverse situazioni e al di là delle buone intenzioni degli insegnanti delle scuole nonantolane, l’istituzione scolastica in sé rischia spesso di mettere in atto nei confronti dei ragazzini stranieri neoarrivati alcune routine che complicano, invece di agevolare, la loro carriera scolastica. Ne cito alcune: la tendenza a inserire i minori stranieri neoarrivati non nella classe corrispondente all’età anagrafica, ma una e a volte anche due classi prima; l’abitudine a orientare gli studenti stranieri di terza media verso i professionali e i tecnici della provincia senza troppo considerare competenze, inclinazioni, predisposizioni individuali; la difficoltà di accesso per le famiglie straniere ai servizi per la prima infanzia, nidi in primis.
Se dai problemi “ordinari” passiamo a quello osservato durante la quarantena, bisogna ovviamente aggiungere la questione del cosiddetto “divario digitale” che penalizza molte famiglie straniere. Un divario che riguarda sia i mezzi, sia il tipo di connessione, sia il livello di alfabetizzazione informatica.
Una vecchia ma ancora attuale indagine della Fondazione Agnelli (Rapporto sulla scuola in Italia, 2011) rilevava che i ragazzini stranieri neoarrivati avevano 19 volte in più la probabilità di essere bocciati o di perdere un anno entro la III media rispetto ai loro coetanei italiani. Cosa significa questo? Per qualcuno quasi niente: riprenderà un percorso di vita normale una volta terminati gli studi. Ma per la gran parte significa vedere segnata la propria carriera scolastica e di conseguenza le chance da giocarsi, sul piano culturale e professionale, nella vita adulta. Per non parlare poi degli aspetti di integrazione sociale, molto più difficili da quantificare, ma ovviamente collegati al percorso scolastico.
Su quest’ordine di problemi e su tutti gli addentellati connessi penso sia urgente avviare un tavolo ad hoc con gli insegnanti, la dirigenza scolastica e l’amministrazione comunale. Per quel che possa servire, anche io e l’associazione di cui faccio parte ci mettiamo a disposizione. “Pubblica” significa due cose: una scuola ben fatta e una scuola per tutti. Anzi, solo una scuola per tutti può ambire a essere ben fatta.
Buona ripartenza a tutti noi.