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Per chi sono fatte le strade?

La risposta istintiva è: “per le auto!”. In effetti, siamo abituati a pensare che pedoni e ciclisti non debbano stare in strada ma avere percorsi separati, e che le strade quindi debbano essere progettate in modo da rendere più fluido possibile il traffico automobilistico. E’ una delle due correnti di pensiero nella pianificazione della mobilità, ed è quella dominante in tutta Italia tra amministratori e tecnici.

A cosa ha portato questa corrente di pensiero?

A spazi e percorsi molto ridotti per chi cammina o va in bici. Ne abbiamo le prove anche a Nonantola, dove i marciapiedi non sono sempre adeguati, persino vicino al centro (pensiamo a via Maestra di Redù tra via Bruni e via Borghi dove sono strettissimi, o a Via Vittorio Veneto da via Monte Grappa al nuovo Conad, dove sono discontinui e pieni di barriere architettoniche). Molti marciapiedi, con qualche licenza interpretativa diffusa in Italia sul Codice della Strada, sono stati col tempo convertiti in piste ciclopedonali, che sono un caso unico in Europa. Chi cammina e pedala viene stipato insieme, mentre le corsie stradali sono ampie anche più del necessario. Avete mai fatto caso, quando nevica, a quanto margine resta tra i segni del passaggio delle auto e il bordo  della strada?

Guai se una bici invece che sulla ciclopedonale preferisce spostarsi in carreggiata (anche se è perfettamente lecito: il ciclista è tenuto a usare le piste ciclabili, non i percorsi ciclopedonali). Le battute si sprecano, e perché? Perché a chi guida, abituato a pensare che la strada è sua, dà fastidio chi pedala a bordo strada, anche se è una strada di campagna: è un impedimento. E via, spesso sono strombazzate e sorpassi a 15 cm dal manubrio che quando le distanze non sono calcolate bene finiscono con un telo bianco sull’asfalto. Una donna in bici è stata investita sulla Vignolese pochi giorni fa, un uomo a Carpi poche settimane fa. Erano pendolari in bici che si spostavano per lavorare,

I numeri in provincia di Modena sono tragici: siamo secondi in Regione per morti sulle strade nel 2021 (33 vittime, contro le 15 di Parma, per dire, che a livello urbano ha adottato da tempo politiche innovative sulla mobilità) e primi per il numero di pedoni e ciclisti uccisi (5 pedoni e 7 ciclisti). Chi guida lo fa come se la strada fosse solo sua, sorpassando dove non si può, viaggiando a velocità da rally.  Chi guida entro i limiti viene superato senza indugio. Fa molta paura muoversi a piedi e in bicicletta: il rischio di essere investiti è tale da convincere molti a rifugiarsi nell’automobile. Avete mai provato a girare in bici a Nonantola con dei bambini di 7-8 anni? Ad andare con loro in biblioteca, a fare la spesa, in banca? Cosa stiamo portando via ai nostri figli, in termini di indipendenza, movimento, soddisfazione, appartenenza ai luoghi quando li costringiamo di fatto a vedere il mondo esterno dal finestrino?

Il fatto è che anche i numeri del traffico sono tragici. Per abitudine, per paura, per pigrizia, ormai si fa un uso smodato e irragionevole dell’auto. Nonantola è piccola, in bici quasi tutto sarebbe raggiungibile… Eppure, si continua a guidare tanto, per andare in farmacia, dal tabacchino, 500 metri più in là, nonostante il caro benzina e metano. Si finisce per riempire tutti gli spazi di sosta, consentita o no (con le quattro frecce magari, “solo 5 minuti!” che non si negano a nessuno). Un occupante per auto, si finisce per imbottigliare in code interminabili verso Modena (che pure in bici non è lontana!) chi magari l’auto invece è costretto ad usarla (perchè deve coprire distanze più lunghe o deve trasportare persone o merci). Dato che nelle ore di punta le strade principali sono tutte intasate, ci si riversa nelle secondarie, invadendo disperatamente ogni stradina di campagna pur di trovare una scorciatoia che però sposta l’ingorgo solo un chilometro più in là. I nostri nonni 80 anni fa per andare a lavorare a Modena in bicicletta ci mettevano 40 minuti: tanto progresso dove ci ha portato? A tempi simili o peggiori, ma con altissimi costi (economici, ambientali e psicologici – la frustrazione dell’ingorgo) senza poter più nemmeno usare la bici per paura di rimetterci la pelle.

La corrente di pensiero che ci ha portato fin qui, quella della fluidificazione del traffico e della strada per le auto (gli altri sulle ciclopedonali separate) è un evidente fallimento. E se speriamo che allargare le strade risolva il problema, basta pensare all’autostrada del Sole e alla terza, quarta, (quinta?) corsia. Più nuove strade si costruiscono, più traffico si avrà, è la dura legge dell’autogol nella pianificazione della mobilità (gli ingegneri del traffico la chiamano “legge della domanda indotta”, e non si scappa).

Esiste però un’altra corrente di pensiero, per cui la condivisione dello spazio della strada tra diversi utilizzatori (auto, bici e nei quartieri residenziali anche pedoni) porta benefici in termini di benessere e sicurezza a tutti. Non a caso, questa corrente va per la maggiore in tutti i paesi che vengono portati come esempio di mobilità sostenibile, e sta prendendo piede anche nella mediterranea Spagna (che come l’Italia non brillava particolarmente quanto a sostenibilità – muchas gracias hermanos, adesso essere mediterranei e non “nordici” non è più una scusa). La tesi è questa: se si modera la velocità delle auto, si può evitare di creare percorsi separati (risparmiando anche spazio e asfalto), perchè si riduce il rischio di impatto e si riduce pure la mortalità nel caso malaugurato che un impatto avvenga, la si riduce DI 7 VOLTE. Misure come limiti di 30 km/h in tutte le zone urbane, corsie ciclabili in carreggiata, strade ciclopedonali o a priorità ciclabile garantiscono il diritto di percorrenza (e sopravvivenza) a chi è più debole, rendono tutti più attenti, fanno diminuire il numero delle vittime sia tra gli automobilisti che tra ciclisti e pedoni e aumentano la sicurezza DI TUTTI. Le statistiche europee (anche quelle spagnole) lo dimostrano ampiamente. Allo stesso tempo, si incoraggia la mobilità attiva, si riduce quindi il numero di auto in circolazione e si diminuisce il traffico e tutti sono più contenti, anche chi non può rinunciare all’auto. L’Olanda è stato riconosciuto non a caso il paese più piacevole in cui guidare.

Gli ordini del giorno sulle connessioni frazionali e sulla messa in sicurezza del percorso che i pendolari in bici utilizzano già ora per recarsi a lavorare da Nonantola a Modena chiedono precisamente che venga al più presto regolamentato il diritto di percorrenza delle bici e/o la coesistenza tra auto e biciclette a tutela e vantaggio di tutti. Riconoscendo che ci sono strade non adatte a ospitare il traffico automobilistico di scorrimento perchè sono troppo pericolose (strette, non protette ecc). E senza aspettare il PUG: se è stato fatto per Campazzo, perché rimandare negli altri casi? Si chiede anche una piena attuazione della Legge Quadro sulla Mobilità Ciclistica del gennaio 2018, che riconosce pari dignità alle infrastrutture ciclabili rispetto a quelle per le auto (parcheggi inclusi).

Diverso è il caso dell’ordine del giorno sulla pista ciclabile in progettazione Nonantola-Modena, che come pista ciclabile provinciale principale richiede di essere in sede separata, il più possibile diretta, fruibile, sicura e di qualità. Una infrastruttura di questo tipo non può certo escludere a priori dalla legittima percorrenza le bici non convenzionali (come le bici cargo, i tricicli, le bici con carriolino per trasporto bambini), sempre più diffusi: sarebbe come progettare un’autostrada su cui non possono transitare i SUV. La legittima transitabilità richiede specifiche tecniche precise, tra cui una ampiezza che (a norma di legge appunto) deve essere di almeno 3 metri, salvo brevi punti particolarmente critici dove non sia possibile fare altrimenti. A meno che non si voglia far transitare le bici cargo sulla Provinciale…

Sono, va riconosciuto, ordini del giorno un po’ diversi dai più consueti, generici atti di indirizzo che arrivano in Consiglio: crediamo che un atto di natura politica non possa essere sempre e solo una mera dichiarazione di principi, ma debba avere la possibilità di entrare nel merito delle questioni, anche concrete e applicative, dando linee di approfondimento precise.

La mobilità a Nonantola non ha bisogno di una transizione, ma di una svolta, decisa e non più rimandabile. Chi fa politica deve saper innescare il cambiamento di abitudini anticipando e guidando la collettività verso un modo diverso di intendere la strada, a beneficio ma soprattutto a maggior sicurezza di tutti, anche se certe scelte appaiono radicali. Vittime della strada ne abbiamo avute già troppe.

Non è più una questione politica, di destra o di sinistra: è una questione di civiltà e responsabilità.

Elena Piffero

Nonantola, 24 novembre 2011 

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