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Una quercia da abbracciare

Avevo circa 10 anni quando firmai una “petizione”, scritta da bambini come me, per salvare la grande quercia che, per fortuna, ancora ci guarda dal parco di via Rossini a Nonantola, ormai costretta a vivere, schiacciata dalle case intorno.
Sono consapevole che quelle firme stentate di bambini non hanno salvato la quercia da un presunto abbattimento, ma ogni volta che passo di lì è come incontrare una vecchia amica e, quando il tempo non è troppo tiranno, mi fermo sotto la sua folta chioma per trovare pace.
Ultimamente si sta diffondendo la pratica del “bagno nella foresta”, per contrastare ansia, stress e depressione e perché, aggiungo io, stare con gli alberi fa riacquistare un contatto con la terra che abbiamo un po’ perso.
Ma le piante, come ben spiega Stefano Mancuso nel suo libro “La nazione delle piante”, hanno un ruolo che nessun altro può assolvere: sono le uniche che potranno salvarci dal cambiamento climatico.

Stefano Mancuso è scienziato di fama internazionale, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale degli Studi di Firenze, membro fondatore dell’International Society for Plant Signaling & Behavior, accademico ordinario dell’Accademia dei Georgofili, autore di numerosi libri tra i quali, Verde brillante, Uomini che amano le piante, Plant devolution ….

Scrive Stefano Mancuso:

“…Per capire meglio cosa sta succedendo, è necessario fare un passo indietro. Non è la prima volta infatti, che nella storia della terra, il livello di anidride carbonica raggiunge livelli allarmanti. Intorno a 450 milioni di anni fa la concentrazione nell’atmosfera terrestre raggiunse picchi molto più elevati di quelli correnti. A questi livelli di anidride carbonica, i primi organismi che si affacciavano sulla terraferma, si trovarono a vivere in un ambiente ben diverso da quello odierno: temperature molto elevate, radiazioni ultraviolette, tempeste formidabili e fenomeni atmosferici violenti; un ambiente che è rimasto a lungo ostile, finché qualcosa di inaspettato, in un tempo relativamente breve, non fu in grado di cambiare tutto abbattendo drasticamente le quantità di anidride carbonica fino a livelli molto più bassi e compatibili con la vita. Che cosa era successo? Semplice le piante, deus ex machina di questo pianeta, si erano manifestate risolvendo, con un colpo di scena, una situazione apparentemente senza via d’uscita.
…Le foreste arbore, assorbendo smisurate quantità di anidride carbonica atmosferica, utilizzando il suo carbonio per creare sostanza organica, erano stato in grado di ridurre la concentrazione di circa 10 volte, modificando sostanzialmente l’ambiente terrestre e rendendo possibile l’avvento di una diffusa vita animale terrestre. L’enorme quantità di carbonio rimossa in quel periodo dall’atmosfera, venne fissata nel corpo delle piante e degli organismi marini fotosintetici e, da allora è rimasta sepolta trasformandosi in carbone e petrolio. E lì sarebbe rimasta per sempre se noi non fossimo andati a disturbare il sonno di questo mostro, provocando un nuovo preoccupante aumento della CO2.
Cosa possiamo fare?
Certamente ridurre le emissioni, come si sente dire da tanto e da tanti, è una cosa buona e giusta. Francamente i risultati di questa strategia negli ultimi anni sono stati impalpabili. Nonostante i vari accordi sul clima, dal 1988 al 2019, soltanto in 3 anni la produzione di anidride carbonica è diminuita rispetto all’anno precedente, e le emissioni globali sono aumentate all’incirca del 40% rispetto all’inizio del processo.
Così malgrado le buone intenzioni, rimane il fatto che questi accordi, in parte per le indubbie difficoltà, in parte per la scarsa volontà e l’inettitudine della politica, sembrano essere del tutto inefficaci.
Quindi cos’altro possiamo tentare?
Mi sembra ovvio: lasciar fare di nuovo alle piante!
Hanno dimostrato già in passato, di essere in grado di ridurre drasticamente la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera permettendo agli animali di conquistare le terre emerse, possono farlo di nuovo regalandoci una seconda possibilità. Per questo dovremmo coprire di piante qualunque superficie del pianeta in grado di poterla accogliere.
Ma prima, è necessario bloccare ogni ulteriore deforestazione. Il taglio delle foreste non è compatibile con la nostra sopravvivenza come specie. Dobbiamo capirlo subito e iniziare a difendere le poche residue grandi foreste del pianeta con tutti i mezzi e al meglio delle nostre possibilità. La difesa delle foreste dovrebbe diventare argomento di un trattato internazionale che vincola il maggior numero di Stati, soprattutto quelli all’interno del cui territorio si trovano le principali riserve verdi del pianeta, alla totale intagliabilità delle stesse. Dalla residua funzionalità di questi ecosistemi, dipende la nostra stessa possibilità di sopravvivenza.
Senza una sufficiente quantità di foreste, non esiste alcuna reale possibilità di poter invertire il trend di crescita dell’anidride carbonica. La deforestazione dovrebbe essere trattata come un crimine contro l’umanità è punita di conseguenza perché è di questo che realmente si tratta. L’ intangibilità delle foreste e il loro mantenimento in vita, così come l’obbligo di mantenere intatti il suolo, l’aria e l’acqua, dovrebbero trovare posto nella costituzione di tutti gli stati. Che dalle piante dipende la nostra unica possibilità di sopravvivenza, dovrebbe essere insegnato nelle scuole ai ragazzi e agli adulti in ogni altro luogo. I registri dovrebbero fare film, gli scrittori libri. Chiunque è chiamato a mobilitarsi, e se credete che stia esagerando e non vedete alcun vero motivo per alzarvi dal divano per difendere l’ambiente e le foreste, sappiate che questa è l’unica vera emergenza mondiale. La maggior parte dei problemi che affliggono l’umanità oggi, anche se apparentemente lontani, sono collegati al pericolo ambientale e rappresentano soltanto gli innocui prodromi di ciò che verrà se non l’affronteremo con la dovuta fermezza ed efficienza. Le piante possono aiutarci. Soltanto loro sono in grado di riportare la concentrazione di anidride carbonica a livelli inoffensivi.
Le nostre città, ospitando il 50% della popolazione mondiale (nel 2050 si arriverà al 70%), sono anche i luoghi del pianeta responsabili della produzione di maggior quantità di CO2. Dovrebbero essere completamente coperti di piante. Non soltanto negli spazi deputati: parchi, giardini, viali, aiuole, ecc… ma dappertutto, letteralmente: sui tetti, sulle facciate dei palazzi, lungo le strade, su terrazze, balconi, ciminiere, semafori, guard-rail ecc…
La regola dovrebbe essere una sola e semplice: dovunque sia possibile far vivere una pianta, deve essercene una. La cosa non richiederebbe che costi irrilevanti, migliorerebbe in una miriade di modi la vita delle persone, non esisterebbe alcuna rivoluzione nelle nostre abitudini, come molte delle soluzioni alternative proposte, e avrebbe un grande impatto sull’assorbimento dell’anidride carbonica.
Difendiamo le foreste e copriamo di piante le nostre città, il resto non tarderà a venire.

Rivolgo un sincero e profondo ringraziamento a Stefano Mancuso, che continua a spingere ognuno di noi ad alzarsi dal divano per difendere l’ambiente.
Il Governo ha stanziato 30 milioni per la forestazione delle aree urbane e periurbane. La Regione Emilia Romagna ha lanciato una specifica iniziativa per distribuire gratuitamente le piante.
È una buona notizia non solo per il clima ma anche per la salute dei cittadini, perché l’utilità degli alberi va ben oltre la loro capacità di assorbire anidride carbonica: sono fondamentali anche per migliorare la qualità dell’aria e abbassare le temperature.
Gli obiettivi principali sono: diffondere il verde, nei parchi, nei giardini, pubblici o privati, sia urbani che extraurbani, creare o ripristinare boschetti, macchie, siepi spontanee, corridoi ecologici e svolgere attività didattiche e divulgative.
Ogni territorio, ogni persona faccia la sua parte. Facciamo qualcosa subito. Adesso.
Se ogni famiglia di Nonantola mettesse a dimora una pianta ne acquisiremmo più di cinquemila; una pianta per ogni abitante e ne avremmo più di sedicimila.

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