“Più alberi per raffreddare il pianeta”: al ricercatore Giacomo Grassi il Bologna Award 2020

Giacomo Grassi, uno degli scienziati italiani che fanno parte dell’IPCC, il pannello intergovernativo delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico,  ha rilasciato una breve intervista in occasione dell’assegnazione del Premio Bologna Award 2020 per il suo impegno nell’elaborazione di politiche per la mitigazione. Gestione oculata delle foreste esistenti, piantumazione di alberi in aree urbane e periurbane, efficientamento climatico degli edifici, un minore consumo di carne e una riduzione dello spreco di cibo sono alcuni dei passi fondamentali per rimanere entro il 1,5 gradi centrigradi di aumento della temperatura globale: una sfida che l’Italia, in alcune zone già oltre i 2 gradi di aumento, è chiamata a combattere in prima linea. E ogni territorio deve fare la sua parte.

Il riconoscimento del Caab e Fondazione Fico per aver elaborato politiche per la mitigazione del clima: “La sfida climatica pone delle urgenze ed è soprattutto una sfida sociale, che mette a rischio la nostra economia”

Giacomo Grassi

16 OTTOBRE 2020 

E’ uno dei pochi scienziati italiani che fa parte dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu che produce rapporti di sintesi sul clima destinati ai decisori politici a livello internazionale. Voce ad ogni Conferenza sul clima, anche Parigi 2015, la più decisiva. Giacomo Grassi, 50 anni, laurea in Agraria e dottorato in Ecologia forestale all’Alma Mater ora è ricercatore al Centro comune di ricerca della Commissione europea a Ispra, a Varese. Torna sotto le Torri oggi per ricevere il premio Bologna Award 2020, un riconoscimento al lavoro e all’impegno per la sostenibilità promosso dal Centro agroalimentare (Caab) con la Fondazione Fico e consegnato nella Giornata mondiale dell’alimentazione. E’ stato premiato per il contributo scientifico all’elaborazione di politiche per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici attraverso le foreste. Mentre una menzione speciale è andata alla statunitense Leah Penniman, leader del movimento per la giustizia alimentare.

Giacomo Grassi, a che punto siamo con il contrasto ai cambiamenti climatici: dove è arrivata la scienza, cosa fa la politica?”

La scienza ormai è chiara nelle cause dei cambiamenti climatici e sulle possibili strategie di mitigazione e contrasto. La politica sta iniziando a rispondere, sebbene con ritardo. Ora l’Europa si è mossa con una delle iniziative politiche più dirompenti degli ultimi anni, credo che questo non si stato pienamente colto”.

Ovvero?”

La Commissione europea ritiene che l’attuale obiettivo climatico al 2030 non sia abbastanza e ha proposto di alzare l’asticella. portandola ad una riduzione delle emissioni di gas serra del 55% rispetto al 1990. Una settimana dopo il Parlamento europeo ha rilanciato al 60%. La nuova soglia andrà poi discussa con gli Stati membri. In ogni caso, significa che tra dieci anni il modo in cui produrremo e consumeremo energia sarà significativamente diverso. Poi c’è l’obiettivo, ancora più ambizioso, della neutralità climatica al 2050″.

Un obiettivo possibile?

“In Norvegia la maggior parte delle auto nuove sono elettriche, l’Italia con il bonus del 110% sta investendo per rendere più efficienti dal punto di vista energetico gli edifici. Si può fare, ma solo se partiamo di buona lena. Il 37% del Recovery Fund è destinato a combattere i cambiamenti climatici con le politiche del Green Deal – è uno shock finanziario di non poco conto”.

L’obiettivo fissato dalla Conferenza di Parigi è di mantenere, da qui a fine secolo, l’aumento della temperatura globale entro due gradi: ci stiamo riuscendo?

“Un grado a livello globale ce lo siamo già giocato, due in alcune aree come l’Italia. L’obiettivo è molto ambizioso e siamo già fuori traiettoria. E’ come se il nostro corpo salisse da 36 a 38 gradi: si passa dal non avere la febbre ad averla, per intenderci. La sfida climatica pone delle urgenze ed è soprattutto una sfida sociale, che mette a rischio la nostra economia”.

Lei è un esperto di foreste, che ruolo hanno nei cambiamenti climatici?

“La gestione delle foreste è in parte soluzione e in parte causa dei cambiamenti climatici. Da un lato, a livello globale, le foreste assorbono quasi un terzo delle nostre emissioni di anidride carbonica, rallentando l’aumento di temperatura. Dall’altro, la deforestazione tropicale – stimolata anche dai nostri consumi – è responsabile del 12% delle emissioni globali. Occorre agire con urgenza per ridurla”.

E la foreste italiane come stanno?”

Da noi la situazione è diversa, perché le foreste si stanno espandendo, ma sono sempre più esposte agli impatti dei cambiamenti climatici, come l’aumento degli incendi e i danni da insetti o da vento. Qui, per massimizzare i benefici climatici occorre, trovare un giusto equilibrio tra conservazione e gestione attiva delle foreste. Inoltre, le foreste non solo sequestrano anidride carbonica durante la fase di crescita, ma la accumulano nei prodotti legnosi che possono sostituire il cemento nella costruzione, per esempio, di case. In Canada mi ha colpito un grattacielo di 18 piani costruito in legno”.

Perché serve piantare alberi, in particolare nelle città?

“Il Governo ha appena stanziato 30 milioni per la forestazione delle aree urbane e periurbane. E’ una buona notizia non solo per il clima ma anche per la salute dei cittadini, perchè il vantaggi degli alberi vanno ben oltre la loro capacità di assorbire anidride carbonica: sono utili anche a migliorare la qualità dell’aria e ad abbassare le temperature”.

Cosa sta facendo Bologna sul tema dei cambiamenti climatici?”

Il Comune è stato tra i primi a ratificare il patto dei sindaci sul clima e recentemente ha dichiarato l’emergenza climatica: un segnale importante. Inoltre, è stata tra le prime città a dotarsi di un piano di adattamento urbano, pianificando strategie per affrontare meglio ondate di calore, la gestione delle risorse idriche ed il rischio idraulici”.

Molto fanno discutere gli impianti di stoccaggio di CO2: è una strada sostenibile?

“Molti scienziati la considerano inevitabile visto che siamo già in ritardo nel ridurre le emissioni. In particolare, c’è molta attenzione alla potenziale combinazione (detta Beccs) di colture bioenergetiche e sistemi di cattura e stoccaggio di carbonio, per generare energia rimuovendo al tempo stesso CO2 dall’atmosfera. Tuttavia ci sono ancora diversi ostacoli tecnici, e per le colture bioenergetiche c’è rischio di competizione con colture a scopo alimentare”.

Qual è l’impatto del sistema alimentare sul clima?

“Il sistema alimentare, dalla produzione alle nostre tavole, è responsabile di quasi un terzo alle emissioni globali di gas serra. A questo contribuisce molto il consumo di carne, e il fatto che oltre un quarto del cibo prodotto viene perso o sprecato. La sfida sarà produrre più cibo perché la popolazione aumenta, ma in condizioni climatiche più difficile e facendo in modo di ridurre la produzione di gas serra”.

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