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LE TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

Si può affermare con sufficiente certezza di non sbagliare come la Pianura Padana sia fra le porzioni di territorio italiano che hanno subito le maggiori trasformazioni nella sua storia, sia da un punto di vista geologico che antropico.

Partendo dal picco dall’ultima era glaciale, dove quello che potremmo identificare come Delta del Po era localizzato circa all’altezza di San Benedetto del Tronto, con le Alpi erano coperte da uno spesso strato di ghiaccio, il successivo disgelo ha avviato un graduale processo di regressione del Po e dei suoi affluenti fino a raggiungere lo stato attuale, durante il quale le continue alluvioni dei fiumi hanno lentamente generato l’ampia pianura nella quale viviamo, depositando i sedimenti erosi dagli appennini e dalle Alpi.

Concentrando l’attenzione verso gli affluenti in destra idrografica, quelli che interessano il nostro territorio, diversi studi hanno ricostruito le continue divagazioni di Reno, Panaro e Secchia identificando la loro migrazione da est verso ovest fino a raggiungere gli attuali tracciati.

Questa migrazione si è manifestata attraverso ripetute alluvioni che determinavano continui cambi del corso del fiume (non esistevano argini come gli intendiamo noi adesso) e soprattutto diffusi allagamenti: da qui l’ambiente acquitrinoso e paludoso tipico del bosco planiziale di Pianura. 

Il processo appena descritto, del tutto naturale, sarebbe continuato indisturbato nel tempo se non fosse stato per l’intervento dell’uomo che, come sappiamo bene, a partire dall’epoca romana e continuando lungo tutto il medioevo ha dato avvio ad un lento e continuo processo di bonifica della pianura, sottraendo attraverso le bonifiche spazio ai fiumi, per guadagnare ampie aree da destinare all’agricoltura ed ai propri insediamenti. L’uomo è riuscito ad interrompere il processo dinamico dei fiumi attraverso la loro costrizione dentro argini, interrompendo le periodiche alluvioni e ricavandone così la “prima materia prima”: lo spazio, il suolo, il territorio.

L’ introduzione geomorfologica è voluta per comprendere come un ambiente sedimentario come la nostra pianura padana sia, per sua natura, un ambiente dinamico dove il principale agente modellatore dello spazio, i fiumi appunto, sono stati anche gli attori principali del lento processo di erosione, trasporto e deposizione attraverso il quale hanno creato la pianura, il suolo ed il territorio così utile alle nostre comunità.

Proprio la disponibilità di territorio ha rappresentato la vera fortuna economica. Il progresso agricolo ed agroindustriale, la costante crescita del settore edile trainato dall’espansione urbana e delle infrastrutture connesse, hanno avuto come combustibile il continuo consumo di suolo e di territorio disponibile. Un processo che è continuato per secoli e che si è intensificato in modo esponenziale dal dopoguerra fino ai giorni nostri.

Il consumo di suolo è dunque un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta alla sostituzione di una superficie originariamente naturale o seminaturale con una inerte, artificiale appunto. Il fenomeno però non si esaurisce con il solo incremento della copertura artificiale di terreno, se consideriamo la progressiva espansione urbana questa è anche un continuo modo di “esporre” le nuove infrastrutture, i nuovi quartieri residenziali e le nuove espansioni produttive alla pericolosità alluvionale e di conseguenza all’incremento del rischio alluvionale.

Inoltre il consumo di suolo può avere effetti positivo o negativi, a seconda della direzione verso la quale si decide di andare, sui cambiamenti climatici. Nel primo caso possiamo considerare il suolo libero come un efficace mezzo termoregolatore: già dai primi 15-20 cm di profondità le variazioni di temperatura sono molto limitate, agendo come un volano termico, ovvero si ha la capacità di trattenere e di rilasciare gradualmente il calore “immagazzinato”. Le aree in cui il suolo è fortemente impermeabilizzato e quindi cementificato tendono invece a immagazzinare e rilasciare molto calore nei mesi estivi, diversamente da quelle coperte da piante o da coltivazioni agricole che, grazie all’evapotraspirazione degli organismi vegetali, garantiscono un abbassamento della temperatura.

In ultimo, ma non per importanza, il terreno rappresenta un immenso immagazzinatore di carbonio attraverso l’accumulo di materia organica e di fissazione della Co2 per opera sempre degli organismi vegetali.

Non vi sono soluzioni semplici a problemi complessi, è però altrettanto vero che le soluzioni possono essere costituite da azioni semplici. L’azione più semplice per invertire la rotta è quella di smettere di consumare territorio. Smettere significa proprio smettere, senza deroghe. Rimane la possibilità di rigenerare laddove non vi è più utilizzo. La rigenerazione urbana, che sia residenziale o industriale, è parte integrante ed attuativa dell’economia circolare. La modalità per attuarla è disporre di una pianificazione territoriale puntuale e precisa che permetta di individuare e conoscere per poi far disporre le aree, sia pubbliche che private, che hanno esaurito la loro funzionalità e che possono essere riconvertite. Su questa linea la prossima redazione del P.U.G., il Piano Urbanistico Generale, rappresenta un’opportunità da cogliere.   

Questo articolo ha un commento

  1. Pier Luigi Nanni

    Pienamente d’accordo ma c’è un ma.
    Purtroppo stiamo crescendo a un ritmo “frenetico” come popolazione mondiale,quasi 8.000.000.000.
    Il problema è dove li mettiamo?
    Guardi l’incremento demografico di Nonantola negli ultimi anni dato anche dalla posizione strategica sia nei confronti di Modena che di Bologna.
    Detto questo ritengo che le istituzioni dovrebbero pianificare come lei sottolineava nuovi insediamenti coinvolgendo sia la parte produttiva che quella residenziale agevolando il recupero delle strutture abbandonate.

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