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Contro il dissesto, coi piedi per terra

Negli anni del ginnasio la nostra professoressa di lettere ha molto insistito nel sottolineare quanto fosse radicata nella cultura greca antica l’idea dell’Hybris o Hubris. I Greci avevano profondamente radicata la consapevolezza che alla base della saggezza ci fossero il riconoscimento e il rispetto dei limiti imposti dall’ordine naturale delle cose sia nel rapporto con gli altri uomini che con la natura (e con gli dei dell’Olimpo). Coloro che violavano questi limiti si macchiavano di Hybris: traducibile come superbia o tracotanza, era una sindrome descritta come una sorta di offuscamento della mente che portava a compiere azioni sconsiderate, smodate, eccessive. Azioni, insomma, contrarie alla Dike, che invece era la giustizia, la misura, l’armonia del cosmo. Per i Greci, a indurre in errore gli uomini era Ate, figlia di Zeus: Ate che, secondo Omero, “ha i piedi molli: perciò non sul suol si muove, ma tra le teste degli uomini avanza”. (Iliade, XIX)

Che bella l’idea che la sobillatrice della superbia “non si muova sul suolo”: ha ancora più senso così che per i Latini l’antidoto alla Hybris sia l’Humilitas, il ritorno per così dire con i piedi per terra (da humus, terra appunto).

In questi ultimi mesi, causa l’alluvione, si è tornato a parlare di fragilità del territorio e di dissesto idrogeologico: e meno male che se ne parla, perchè è una piaga che in tutta Italia “determina una strutturale debolezza economica e una costante fonte di tensione sociale”. (Ecoscienza 3/2015: L’Italia fragil‪e‬. Dissesto idrogeologico, dall’emergenza alla prevenzione, ArpaER). E cosa c’entra questo con l’Hybris? C’entra eccome, perché il dissesto idrogeologico ha tra le sue cause principali, oltre alla mancata manutenzione dei versanti montani e collinari causata dall’abbandono di quei territori, proprio un eccesso, e guarda caso proprio nel consumo di suolo (la terra, l’humus), sotto forma di una attività edificatoria sproporzionata alle esigenze di una popolazione, a livello nazionale, stabile (o in calo). Abbiamo perso il senso della misura e abbiamo perso il legame con la terra. E se non sono gli Dei dell’Olimpo a vendicarsi, ci pensa la natura a mostrare che avanti così non si può andare a meno che non intendiamo farci l’abitudine, alle alluvioni.

Ma come può il consumo di suolo influenzare il dissesto idrogeologico?

Attraverso tutti i servizi ecosistemici che offre: servizi che i sistemi naturali generano a favore dell’uomo o, secondo la definizione proposta dal MEA – Millennium Ecosystem Assessment, i “molteplici benefici forniti dagli ecosistemi al genere umano”. Questi servizi si possono raggruppare in tre categorie principali:

  • servizi di approvvigionamento
    Il suolo consente di avere prodotti alimentari, acqua dolce attraverso la sua funzione di filtro nei confronti dell’acqua piovana, biomassa, materie prime, etc., oltre che rappresentare una riserva di biodiversità importantissima. Tra il 1990 e il 2006, a causa della cementificazione, i 19 Stati membri dell’Unione Europea hanno perso una capacità di produzione agricola pari a 6,1 milioni di tonnellate di frumento (circa 1/6 del raccolto annuale in Francia, il maggior produttore d’Europa). Secondo il rapporto della Commissione Europea 2011 per compensare la perdita di un ettaro di terreno fertile in Europa, è necessario la reimmissione in opera di un’area dieci volte maggiore.
  • servizi di regolazione del clima
    La materia organica presente nel suolo e formata dalla decomposizione di residui vegetali e animali è composta per la maggior parte di carbonio sequestrato all’atmosfera e rappresenta un serbatoio di nutrienti come azoto, fosforo e zolfo. La materia organica garantisce fertilità, contribuisce alla biodiversità e con la sua struttura porosa riduce il rischio che il suolo venga compattato, eroso, desertificato.
    Il suolo permette poi la regolazione della quantità dell’acqua assorbita e evaporata: agisce da filtro nei confronti dell’acqua che lo attraversa prima di reimmettersi in falda (o nei collettori) e offre protezione e mitigazione nei confronti dei fenomeni idrologici estremi.
    Lo spiega bene Paolo Pileri, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano: “Il suolo non cementificato che abbiamo sotto i nostri piedi lavora come una potentissima spugna fatta di micro e macro porosità. Dentro queste cavità trova posto l’acqua, e quando piove si riempiono al massimo della loro capacità. Un ettaro di suolo non urbanizzato, cioè non costruito, arriva a trattenere acqua dal 10 al 25% del suo volume, questo vuol dire che mediamente i nostri suoli europei sono in grado di tenere in se stessi circa 3,8 milioni di litri per ettaro, solo nei primi 100 centimetri (Commissione Europea, 2012)
    Quelle che i media chiamano bombe d’acqua hanno perciò dei precursori sul territorio che potremmo chiamare, usando lo stesso linguaggio, ‘bombe di cemento’. Dove il suolo è “libero”, nella maggior parte dei casi continua ad essere capace di immagazzinare l’acqua piovana che arriva in un colpo e la restituisce pian piano, rendendo innocui gli effetti.
    Per compensare il lavoro verde che il suolo non può più fare se viene cementificato, infatti, occorrono tubi, flange, canali, derivazioni, scolmatori, fognature, tombini, e occorre manutenere tutto ciò per sempre. Secondo le analisi realizzate dall’Institute for Advanced Sustainability Studies per mantenere in efficienza, anno dopo anno, il sistema di raccolta e allontanamento delle acque in un’area urbanizzata europea occorrono mediamente 6.500 euro per ettaro per anno”. (Il valore sotto ai piedi, Altreconomia, 15 febbraio 2014)
  • servizi culturali
    attraverso il valore estetico, ricreativo, educativo, spirituale, artistico, identitario del paesaggio naturale.
    Il suolo, la terra che abbiamo sotto i piedi, ha insomma una funzione fondamentale di supporto alla vita: la nostra sopravvivenza, la nostra salute, il nostro benessere.

Eppure, sottolinea Paolo Pileri, “continuiamo a consumare suolo in questo Paese (e non sta diminuendo: due metri quadrati al secondo da tre anni a questa parte) senza averne sostanzialmente bisogno e senza avere neppure un minimo dubbio di fare una cosa inutile, sbagliata, grave e che inchioda le prossime generazioni alla povertà e al conflitto”.(Ancora una giornata sul suolo e quindi contro il suo consumo – Altreconomia, 4 Dicembre 2020)

Ora, persino la Corte dei Conti ovvero l’organo dello Stato preposto a controllare la spesa pubblica e il bilancio dello Stato stesso (non una istituzione dell’area ambientalista insomma), si è pronunciata sul tema del consumo di suolo nella deliberazione del 31 ottobre 2019, n. 17/2019/G, in cui si legge: “I dati scientifici a disposizione dimostrano che il Paese è interessato, in misura crescente e preoccupante, da fenomeni diffusi di dissesto idrogeologico che si sono acuiti sia per gli effetti dei cambiamenti climatici, ma anche e soprattutto per l’aumento del consumo del suolo nel nostro Paese che è passato dal 2,7 per cento degli anni 50 al 7,65 del 2017”.
Sottolinea Pileri: “La Corte non si limita a dire e invitare Stato e Governo a fare “norme e azioni di radicale contenimento del consumo di suolo” (p. 16), ma dice anche che il consumo di suolo è “in primis” correlato con il peggioramento dei fenomeni di dissesto idrogeologico che sappiamo costare all’Italia svariate centinaia di milioni di euro all’anno. La Corte conferma preoccupazioni che da anni alcuni ripetono all’infinito come quella di smettere di trattare la questione ambientale per spizzichi e bocconi perché occorrono dispositivi “di natura sistemica”. Viene chiesta al Parlamento una legge “radicale” (e non soffice) sul contenimento del consumo di suolo e addirittura di svuotare i piani urbanistici in quanto le previsioni ivi contenute sono “sovradimensionate”. (Anche la Corte dei Conti riconosce che il consumo di suolo mette in ginocchio il Paese, Altreconomia 26 Novembre 2019)

Finora pare che in Italia le politiche siano andate nella direzione di rimandare le scadenze più che di rispettarle: azzerare il consumo di suolo entro il 2050 è un ennesimo proclama, sottolinea Pileri, per non affrontare il problema alla radice oggi. ”Il consumo di suolo è figlio di stagioni di piccoli compromessi, apparentemente accettabili, che si rivelano enormi fregature. Anche il linguaggio nelle leggi e nei piani è misurato, tagliato, ammorbidito, e le parole sembrano prese dal dizionario “compromessi&mediazioni”: non leggiamo mai “fermare il consumo” ma contenere, limitare, controllare, ridurre progressivamente o gradualmente, minimizzare, orientare a, contrarre. Fin dalle parole, tutto prende il sapore della mediazione che imprime il suo marchio ai pensieri. A me pare però l’indicatore di un’inadeguatezza politica generale, che alimenta una regressione culturale e favorisce il “teorema del riduzionismo” con cui si sgrava l’attenzione da tutto ciò che sembra piccolo e innocuo, ma non lo è.”
(Stop al consumo di suolo, Altreconomia 2 Gennaio 2017)

“Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso (Laudato sì, pt. 194)”

Questo articolo ha un commento

  1. alberto

    Per quanto riguarda il consumo del suolo Nonantola è un esempio negativo. Da paese agricolo, è stato trasformato in un dormitorio. Ovunque costruiscono,vedi via Rebecchi via di mezzo via Prati ecc. Mi chiedo in paese con una natalità pressochè inesistente c’è bisogno di tante case.Altra nota dolente è l’iquinamento dovuto all’ampliamento delle frazioni

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